Storia d'Italia dal 1871 al 1915 by Benedetto Croce

Storia d'Italia dal 1871 al 1915 by Benedetto Croce

autore:Benedetto Croce [Croce, Benedetto]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2023-10-29T23:00:00+00:00


VIII

CONATI DI GOVERNO AUTORITARIO

E RESTAURAZIONE LIBERALE

(1896-1900)

[259] La riprova che l’opera del Crispi, se rese indubbi ma contingenti servigi nel reprimere disordini, stringere certa rilassatezza, portare a termine buone leggi amministrative ed efficaci provvedimenti finanziari, non ebbe carattere politicamente creativo, si vede nel quinquennio che seguì alla sua caduta, segnato dai tre successivi ministeri del Rudinì, del Pelloux e del Saracco; nel qual tempo tutti i motivi della politica crispina, coloniale, estera e interna, vennero l’un dopo l’altro abbandonati, e nuovi criteri si formarono, che ressero effettivamente la vita italiana fino alla guerra mondiale, e anzi nella sua partecipazione stessa a questa guerra.

Abbandonata fu, prima di ogni altra, la sua politica africana, rinunziandosi a ogni pensiero di rivincita e di espansione in Abissinia, all’idea di un impero o protettorato abissino. Non già che non si sentisse (e come non sentirli?) il danno e l’onta di quanto era accaduto, e la gravità di aver lasciato riportare da un dinasta africano un trionfo sopra una potenza europea. L’Italia era stata colpevole in questa parte di molta leggerezza e avventatezza così politica come militare, e, in sostanza, di scarso zelo e [260] quasi d’inconsapevolezza in cosa che toccava la fortuna della patria, perché l’impresa d’Africa era andata come era andata senza la piena partecipazione del parlamento, spesso senza sua saputa o contro l’indirizzo da esso approvato, con poco chiara responsabilità rispettiva dell’uno e dell’altro dei principali suoi autori, il Crispi e il Baratieri; e l’opinione pubblica o se n’era rimasta, non favorevole bensì, ma inerte, o si era lasciata cullare dalle fantasticherie e dalle fandonie messe in giro senza curar di procacciarsi una buona informazione, senza esercitare una seria critica. Le notizie e i particolari che si venivano apprendendo degli atti di valore, delle prove di austero sacrificio, date nel corso dell’ultima campagna, come già nelle varie operazioni militari degli anni innanzi, da ufficiali e soldati, se non permettevano alcun dubbio sullo spirito dell’esercito italiano, accrescevano l’acerbo dolore per tante forze sprecate, per tanta virtù non rimunerata da bene e gloria della patria. Tutti ricordano i nomi degli Arimondi, dei Toselli, dei Galliani, dei Dabormida, e tutti dovrebbero ricordare quello di un vecchio colonnello, Cesare Airaghi, fattosi richiamare dalla posizione ausiliaria per recarsi dove l’esercito si batteva e caduto ad Adua, e dovrebbero leggere gli scritti che di lui ci restano per riconfortarsi nella coscienza che, allora e poi e sempre, vi sono state in Italia menti pensose, nobili cuori e caratteri severi, modesti e schivi, che sono la vera riserva aurea di un popolo. Ma lo strazio, che ogni italiano sofferse in quei tristi giorni, non mutava nulla al fatto, che il male accaduto era irrimediabile. [261] Tecnicamente, a una campagna nel cuore dell’Abissinia per ritrovare e battere il negus sarebbero occorsi in ogni caso, come fu dichiarato dai competenti, centocinquantamila uomini e un miliardo e mezzo di lire; e se pure l’Italia avesse potuto compiere questo sforzo, indebolendosi assai in Europa e mettendosi a pericolo di trovarsi quasi disarmata in una complicazione



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