Stragi Quello che Stato e mafia non possono confessare (Italian Edition) by Di Giovacchino Rita

Stragi Quello che Stato e mafia non possono confessare (Italian Edition) by Di Giovacchino Rita

autore:Di Giovacchino, Rita [Di Giovacchino, Rita]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Chelazzi lo interruppe per chiedergli fino a quando la trattativa era rimasta aperta, ma lui liquidò la domanda affermando che si trattava di «una questione di forza: tu mi devi dire questo e noi ci fermiamo, sennò noi continuiamo a mettere bombe fino a che tu ti abbassi». Da sottolineare, in questa prima versione, che Riina aveva imposto uno stop agli omicidi in programma, da Mannino a Vizzini, e ciò basterebbe a escludere che la strage di via D’Amelio fu organizzata per accelerare la trattativa. Per il Brusca del 1998 il dialogo Stato-mafia era dunque iniziato dopo la morte di Borsellino per concludersi a fine settembre, quando le ostilità ripresero con il progetto di uccidere il procuratore Piero Grasso. Era stato Salvatore Biondino, l’autista di Riina, nel commissionargli l’attentato contro il futuro presidente del Senato a dirgli in riferimento al papello: «Forse gli è apparso troppo…».

La trattativa, appena nata, era già finita? No, sostiene lui, perché Riina annunciò: «Bisogna dare un altro colpetto». Ma poi il 15 gennaio 1993 fu arrestato e la gestione delle stragi passò al cognato Leoluca Bagarella. Accantonata la decisione di uccidere Grasso, per difficoltà insorte nell’organizzazione dell’agguato, l’unico omicidio compiuto dopo la strage di via D’Amelio fu quello di Ignazio Salvo, il potente esattore siciliano, ucciso il 17 settembre. Era l’ultima picconata al sistema andreottiano, ma Brusca precisa: «Salvo era mafioso, la trattativa non c’entrava niente, era un regolamento di conti interno a Cosa nostra». Anche se l’uccisione di Ignazio Salvo perfezionava l’eliminazione di «nemici e traditori», che era poi il progetto iniziale di Cosa nostra.

Nel 2001, di fronte ai pm di Caltanissetta, Brusca preferì parlare dei rapporti tra mafia e sinistra Dc e fece per la prima volta il nome dell’ex ministro dell’Interno Mancino, indicandolo come «il terminale della trattativa», aggiunse di averne già parlato al pm Chelazzi. Anticipò pure che erano stati Vito Ciancimino e il figlio a individuare «un canale di collegamento con Mori e con le istituzioni». Soltanto molti anni dopo metterà in stretta relazione la trattativa con la decisione di eliminare Borsellino. Il movente? Il magistrato aveva saputo della trattativa, si era opposto ad ogni cedimento e dunque era considerato un «ostacolo» alle richieste di Riina e in questa seconda versione scompare il «fermo» degli attentati in attesa di una risposta dello Stato, al contrario la strage di via D’Amelio fu accelerata perché ’u Curto si era convinto che «più bombe scoppiano e più capiscono che devono cedere».

La sua memoria fece nuovamente cilecca il 18 maggio 2009 nell’aula bunker di Rebibbia, durante un’udienza del processo Mori, tanto che lui stesso chiese al presidente Mario Fontana di essere nuovamente interrogato e tre mesi dopo, in aula, candidamente ammise di essere riuscito a mettere a fuoco l’incontro con Riina dopo aver letto sui giornali i verbali di Ciancimino: «Incontrai Riina a casa del boss Girolamo Guddo e lì, dopo esserci appartati per una decina di minuti, mi disse: “Finalmente si sono fatti sotto, gli ho consegnato il papello con le richieste scritte”».



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