Teodora by Mariangela Galatea Vaglio

Teodora by Mariangela Galatea Vaglio

autore:Mariangela Galatea Vaglio [Vaglio Mariangela Galatea]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Sonzogno
pubblicato: 2018-06-06T16:00:00+00:00


LI

I congiurati

Costantinopoli, appartamenti dell’imperatore

«Nel sonno, così» sibila Celere.

«Già» conferma Amazio, sottovoce.

«Sei sicuro che non abbia lasciato nulla, un testamento, uno scritto, qualcosa...»

«No, ho controllato. Prima di chiamare soccorsi ho perquisito tutta la stanza.»

«E se avesse incaricato qualcuno, lasciato a lui disposizioni...»

«Impossibile, negli ultimi mesi sono stato la sua ombra.»

«Quindi non abbiamo nessuno che ci impicci e possa vantare diritti. Questo è bene.»

Il vecchio Celere controlla di sottecchi la stanza, appoggiandosi al bastone che lo aiuta a stare in piedi, perché nei giorni precedenti ha avuto uno dei suoi terribili attacchi di gotta e scapicollarsi a Palazzo nel mezzo della notte non è stato semplice per lui.

I due sono in disparte e parlano sottovoce, vicino a una delle mezze colonne addossate alle pareti, di fianco agli armadi che contengono i codici e le pergamene di teologia più consultate da Anastasio negli ultimi tempi. Lo studiolo è zeppo di gente. L’archiatra palatino, il capo dei medici, è corso subito a esaminare il corpo dell’imperatore, ma non ha potuto far altro che scuotere il capo e decretarne la morte.

«Nel sonno. In pace. Il cuore ha ceduto.»

«Che Dio abbia pietà di lui» commenta Giustino.

Non appena Amazio ha dato l’allarme, i silenziari sono corsi ad avvertire i due comandanti militari di corte, cioè Celere, che è il magister officiorum in carica, e Giustino. Sono loro le massime autorità all’interno del Palazzo, ora che è mancato l’imperatore.

«Dovremo convocare il Senato e il popolo all’Ippodromo il prima possibile!» interviene Amazio.

Giustino annuisce: «Lo faremo domani mattina. Ora bisogna innanzi tutto dare la notizia alle Scholae, ai Candidati e agli Excubitores. Posso farlo io, se volete.»

Celere annuisce: «Certo, certo... ma prima, Giustino, è meglio che parliamo fra noi, non credi?», e gli fa segno di seguirlo, in disparte.

Giustino guarda Celere perplesso: «Di cosa?»

Celere abbassa la voce: «Giustino, io e te che c’eravamo ai tempi del vecchio Zenone ci siamo già passati... Presentarsi in Senato così, e anche presso i nostri uomini, senza un candidato... La situazione, ne converrai anche tu, è delicata.»

«Ci sono i nipoti. Il Senato potrebbe convocarli subito» fa presente Giustino, poco convinto.

Celere sogghigna: «Non diciamo sciocchezze. Nemmeno Anastasio voleva sul trono uno di quei tre imbecilli! E poi sono lontani da Costantinopoli. Vitaliano sta ammassando di nuovo truppe ai confini col vallo. Se perdiamo tempo a rintracciare Ipazio o gli altri due e aspettare che arrivino, ce lo ritroveremo sotto le mura e si prenderà la corona con la forza. E non credo che sarebbe molto comprensivo con noi, dopo la sconfitta che gli abbiamo fatto ingoiare. Non so voi, ma io non ho trascorso la vita a difendere l’impero per poi ritrovarmi a passare la vecchiaia in prigione o essere messo a morte.»

Giustino tace. Ricorda la prigionia di Ipazio. Vitaliano non è famoso per la capacità di perdonare.

«Potremmo chiamare Anicio Olibrio, il figlio di Areobindo e Giuliana: discende dall’imperatore Teodosio il Grande e ha sposato Irene, che è una nipote di Anastasio. Così tutte le case reali finirebbero per ricongiungersi» suggerisce allora.

Celere scambia un rapido sguardo con Amazio.



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