Un'invincibile estate (Italian Edition) by Filippo Nicosia

Un'invincibile estate (Italian Edition) by Filippo Nicosia

autore:Filippo Nicosia [Nicosia, Filippo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Giunti
pubblicato: 2018-01-30T00:00:00+00:00


18

Il mio professore di italiano al ginnasio, Franco Aricò, per due anni aveva battuto su un solo concetto che, evidentemente, doveva stargli a cuore: la brevità. Greco, latino, storia, geografia erano tutte materie del corso di studi ma ognuna di queste sembrava un pretesto, uno spunto.

La brevità era il vero pallino di Franco Aricò. Forse perché era pigro e si seccava a leggere temi che andassero oltre le quattro colonne, forse perché davvero credeva in una ferrea legge di economia espressiva.

Fustigatore della modernità, dell’automobile e dei parcheggi selvaggi che, secondo le sue teorie, lo facevano sempre tardare a lezione, trovava pace nei grandi panini che mangiava passeggiando in fondo alla classe mentre raccontava di quel “cornuto” che gli aveva rubato il posto sotto il naso, o di quel “gaglioffo” che l’aveva tamponato, insultato o aggredito.

Franco Aricò però non aveva mai accennato al fatto che la brevità fosse una merce introvabile, soprattutto all’università. A Lettere, c’era tutto un altro stile tra il prolisso e il barocco, in particolare il prof. Emanuele era una sintesi perfetta, il prototipo dell’insegnante e si compiaceva a parlare di Stefano D’Arrigo per ore dando, tuttavia, l’impressione di non averlo mai letto.

Dovevo essermi addormentato sul banco ascoltando la voce cantilenante del prof. Emanuele e tra le epifanie di Ester e mio padre, di Martina e Giovanni, spuntò Aricò – quanto tempo che non lo vedevo –, che entrò nell’aula interrompendo la lezione e prese a ceffoni Emanuele, apostrofandolo come “buzzurro e ciarlatano” e, non contento, uscendo fuori gli ruppe gli specchietti dell’auto perché lui aveva il parcheggio riservato dall’università mentre Aricò, per una vita al liceo, la macchina l’aveva dovuta parcheggiare lontano. Corpulento giustiziere, Aricò entrò in scena e prese il rivale per la collottola e gli disse di leggersi D’Arrigo prima di vomitare tutte quelle stronzate sui ragazzi. A quel punto partì un applauso dagli studenti.

Forse russavo e al suono del mio stesso grugnito mi risvegliai con la bocca arsa e la manica della giacca bagnata di saliva. Bisognava tenere la giacca in aula perché, nonostante i moniti al risparmio energetico, i condizionatori erano accesi al massimo già dalla primavera.

Il prof. Emanuele si interruppe e si avvicinò al mio banco.

– Non è di suo gradimento, signor…?

– Crisafulli – dissi.

– Non è di suo gradimento la lezione, signor Crisafulli?

– No, non è quello. Guardi, ho avuto una notte complicata.

Per un attimo pensai di raccontargli di mio padre, del funerale, di mio fratello, del lavoro, ma a Emanuele non gliene fregava niente da dove venivi, che storia avevi, se le tue mani erano tagliate, spaccate, ustionate e grosse, se per quanto ti strigliassi sotto la doccia quell’odore di cucina ti rimaneva addosso. E poi, non mi sono mai piaciute le giustificazioni.

– Questo non è un posto per dormire, mi faccia la cortesia di trovarsi un ponte e un pezzo di cartone altrove, per piacere – e fece un cenno verso la porta in alto.

Lo guardavo e non sapevo se alzarmi e uscire oppure ribattere. Gli altri tenevano la



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