Uomo al piano zero by Bob Shaw

Uomo al piano zero by Bob Shaw

autore:Bob Shaw [Shaw, Bob]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: fantascienza, urania
pubblicato: 1971-01-01T00:00:00+00:00


La seconda parte del colloquio fu durissima, come l'ispettore aveva predetto. Una serie di domande che sembravano non finire più. Spesso riguardanti particolari trascurabili, a volte gridate a volte sussurrate, spirali di parole che si avvolgevano intorno al cervello di Hutchman. Insinuazioni che, se non erano individuate e controbattute immediatamente, rischiavano di trascinarlo a dire la falsità o la verità che non andava detta. Ellissi radenti, pensò a un certo punto Hutchman e, nella sua stanchezza, pensò di aver trovato una definizione assolutamente eccezionale. Alla fine della prova aveva la mente così annebbiata che si trovò a letto in una stanza per ospiti, pulita ma senza finestre della sede di polizia, prima di accorgersi che non lo avevano lasciato andare a casa. Fissò la porta con rabbia, dicendosi che, se fosse stata chiusa, l'avrebbe presa a calci. Ma erano praticamente quarantotto ore che non dormiva, e il suo cervello era stato torchiato selvaggiamente da Crombie-Carson, per cui pensò bene di rimandare il tutto al mattino.

Si addormentò immediatamente.

Lo svegliò il rumore della porta che veniva aperta. Convinto di aver dormito solo pochi minuti, Hutchman diede un'occhiata all'orologio e scoprì che erano le sei e dieci. Sedette e si accorse che aveva indosso un pigiama grigio: guardò la porta che si apriva, per lasciar passare un agente che reggeva un vassoio con un tovagliolo. La stanza si riempì del profumo di pancetta e di tè carico.

«Buongiorno, signore» disse il poliziotto. «Vi ho portato la colazione. Spero che vi piaccia il tè molto forte.»

«Va bene così.» A dire il vero, Hutchman lo preferiva leggero, ma in quel momento era tutto preso da un pensiero molto più importante. Era lunedì, e bisognava imbucare le altre buste. L'impazienza lo fece parlare con voce strozzata. «Immagino di potermene andare quando voglio.»

L'agente levò il tovagliolo, piegandolo meticolosamente. «Dovrete parlarne con l'ispettore Crombie-Carson, signore.»

«Allora non sono libero di andarmene?»

«È una faccenda che riguarda l'ispettore.»

«Non raccontatemi storie. Voi, di servizio in sede, saprete bene chi può andarsene e chi no.»

«Dirò all'ispettore che desiderate parlargli.» L'agente posò il vassoio sulle ginocchia di Hutchman e si diresse alla porta. «Non fate raffreddare la colazione.»

«Un momento! C'è l'ispettore, stamattina?»

«No, signore. Ieri ha avuto una giornata pesante, ed è andato a casa a dormire. Probabilmente ci sarà nel pomeriggio.»

La porta si chiuse sulle ultime parole dell'agente, prima che Hutchman riuscisse a liberarsi del vassoio: in quel momento capì che gli era stato messo sulle ginocchia per immobilizzarlo. L'appoggiò sul tavolino da notte e andò alla porta. Era chiusa. Fece il giro della stanza finché arrivò di nuovo al letto. Il prosciutto era mal cotto, e nelle uova strapazzate avevano messo troppo burro: una poltiglia unta e gialla. Hutchman prese la tazza del tè e provò a berne una sorsata. Era troppo dolce e troppo forte, però abbastanza caldo. Bevve piano, assaporando le scosse leggere che gli correvano nei nervi a ogni sorso. Il tè non aveva certo un valore nutritivo, però, se non altro, lo aiutava a pensare.

Nel pomeriggio, con tutta probabilità, sarebbe arrivato in tempo a spedire gli ultimi plichi.



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