I Libri proibiti by 0561

I Libri proibiti by 0561

autore:0561 [0561]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2010-10-22T21:09:44.407000+00:00


2. Inquisizione e repressione

Anche dopo la fine del XVI secolo, in Spagna, Italia e Portogallo l’azione repressiva continuò a essere essenzialmente risultato dell’azione combinata tra Inquisizione e Indice, con quelle differenze determinate dai diversi ruoli che le istituzioni potevano avere nei rispettivi ambiti.

Laddove avevano valore i decreti romani, alla diminuzione del pericolo ereticale nel corso del XVII secolo, non corrispose un rallentamento dell’attività della Congregazione dell’Indice. Se il catalogo di Clemente VIII del 1596 conteneva circa 2.100 voci, quello di Clemente XI del 1711 ne riportava 11.000, con una progressione superiore a quella dell’incremento della produzione editoriale. Ma la tendenza, almeno dalla seconda metà del ’600, era quella di farne uno strumento discrezionale in mano agli inquisitori periferici che di fatto divenivano giudici essi stessi nel decidere se autorizzare ampie categorie di testi a stampa. Gli indici del 1664 e del 1681, redatti dai segretari della Congregazione Giacinto Libelli e Giacomo Ricci, abbandonarono la suddivisione in classi che risaliva al tridentino, e disposero le opere da proibire in una più agevole successione alfabetica per nome o titoli. Contemporaneamente aumentarono le proscrizioni generiche relative a intere categorie di argomenti che cadevano sotto il lemma «libri omnes et quicunque libelli». Il clementino si limitava alle opere magiche e astrologiche. A queste si venne ad aggiungere tutto quanto poteva riferirsi all’eliocentrismo, giansenismo, molinismo, misticismo e quietismo, a controversie politiche e religiose di vario genere. Considerazioni per alcuni versi simili possono farsi per gli indici spagnoli. Ammesso che non siano da tenere in conto le osservazioni di Sarpi, per il quale ogni alterazione del pensiero di un autore era addirittura più grave della sua radicale proibizione, l’indice del 1667 tradisce in qualche misura una certa moderazione, consentendo lunghissime e accuratissime espurgazioni per molti testi dubbi, ma il successivo del 1707, di Diego Sarmiento y Valladares, triplica le opere e gli autori proibiti.

Ma un conto sono gli indici, che rappresentavano un segnale ufficiale delle posizioni della Chiesa, un altro è l’effettiva volontà repressiva. È inevitabile che le strutture della censura ecclesiastica, sottoposte a un secolare processo di adeguamento e intente a una capillare azione di controllo secondo rigide e predeterminate procedure tendessero a burocratizzare l’attività di routine e in molti casi a perdere di vista la propria originaria ragion d’essere. Le stesse normative erano complesse e cercavano di regolare ogni aspetto della funzione di vigilanza. Ma le disposizioni ufficiali erano una cosa e la pratica un’altra. Rigide prescrizioni ad esempio regolavano il rilascio dei permessi di lettura dei libri proibiti. Dovevano essere concessi dal Sant’Uffizio o dal Maestro del Sacro Palazzo per periodi non superiori a tre anni a studiosi maturi di provata dottrina e fiducia e in ogni caso non potevano includere gli scritti di astrologia giudiziaria, di Machiavelli, tutti quelli contro la religione. Di fatto invece sembrano divenire presto una franchigia a tempo indeterminato, ottenibile senza troppe difficoltà grazie a non infrequenti relazioni con ambienti genericamente ecclesiastici. Gli stessi manuali ad uso degli inquisitori sino al XVIII secolo continuavano a considerare come “sospetti



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