A cercar la bella morte by Carlo Mazzantini

A cercar la bella morte by Carlo Mazzantini

autore:Carlo Mazzantini [Mazzantini, Carlo]
La lingua: ita
Format: epub, azw3
ISBN: 88-04-28803-5
editore: Mondadori
pubblicato: 1986-01-13T23:00:00+00:00


VIII

Smontare una mitraglia, farla tutta in pezzi su una coperta di casermaggio, avercela lì sviscerata, smucinarla, guardare “come era fatta dentro”: massa battente, mollone di recupero, deflettori. Come se uno potesse veramente trovare in quei congegni il segreto del suo fascino che ne faceva un oggetto quasi sacro. Poi la rimontavi incastrandone i pezzi a colpi secchi e precisi.

Si parlava di balistite a quadrelli, di trinitrotoluene «Si chiama così perché è tre volte nitrato», di cotone fulminante, cariche di lancio, di scoppio. Aprivamo quelle stupide bombe a mano - Breda, Balilla, O-Ti-O - per mostrare a noi stessi la dimestichezza con gli esplosivi e il nostro sprezzo del pericolo. Ognuno ne aveva una riserva nel tascapane.

Nei momenti di riposo, una delle immagini più consuete era quella di qualcuno seduto sulla branda intento a lustrare la pistola con cura maniacale: click! click! faceva scorrere l'otturatore, estraeva la canna, puliva, lubrificava guardandosi attorno sospettoso, come si trattasse di un oggetto prezioso, un tesoro da difendere.

Avevamo assistito allo sfascio di un esercito, le avevamo viste rifiutate, disperse, divenute da un giorno all'altro inutili, imbelli, vili. Avevano acquistato nella nostra immaginazione un valore mitico. Si andava a rubarle sui treni di rottami che i tedeschi mandavano in Germania, venivano riparate, adattate; da soffitte e cantine rispuntarono armi di tutti i tipi, di tutte le epoche. Quanto più l'irrealtà di quella guerra si fece palese, e gli scopi, le motivazioni di quella vita via via più confusi, tanto più ci si aggrappò alle armi come all'unica cosa in cui riconoscerci.

Per quelle città sconvolte, con mitra a tracolla e samurai imbottiti di caricatori, ci aggirammo in una sorta di rappresentazione evocativa con la quale intendevamo convincere noi stessi e gli altri che eravamo veramente soldati e avevamo ancora una parte in quella guerra da cui l'armistizio ci aveva escluso.

Diventò una specie di feticismo. Di culto per l'arma: l'arma più bella e micidiale. L'arma come oggetto-simbolo.

E ce ne furono di quelle che assursero al rango di vere armi fatate, dotate di poteri soprannaturali, come quelle degli eroi epici: l'asta di Achille, la spada di Sigfrido. Sguardi cupidi carezzavano la pistola-machine del tenente Mazzoni che si era buttato in mezzo a un putiferio di fuoco per strapparla di mano a uno di loro. E la fantasia si accendeva ai racconti del Pinguino, che era stato dall'altra parte, e che ci descriveva il Taxun di Moscatelli. Un'arma mai vista. «Macché russa! Macché americana! Un'arma speciale, vi dico, ce l'ha solo lui!» Piovuta da chissà quale galassia, che poteva sparare tre caricatori da quaranta colpi tutti di seguito: «Consumato il primo, sfila uno spinotto e via il secondo, e poi il terzo». Senza smettere un attimo.

Te le procuravi e diventavi invincibile. Chiuso dentro una nube di fuoco e di piombo, attraverso la quale l'offesa non poteva passare. Le ostentavi sotto gli occhi avidi e reverenti degli altri, come un cavaliere feudale che passa stretto nella sua armatura, distante e invulnerabile come un dio della guerra.



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