È difficile essere un dio by Arkadij Strugackij & Boris Strugackij

È difficile essere un dio by Arkadij Strugackij & Boris Strugackij

autore:Arkadij Strugackij & Boris Strugackij [Strugackij, Arkadij & Strugackij, Boris]
La lingua: ita
Format: epub
Google: IrjangEACAAJ
editore: Marcos y Marcos
pubblicato: 1989-07-15T11:07:23+00:00


Rumata vagava senza meta per interminabili corridoi e passaggi del palazzo, bui, umidi, puzzolenti di ammoniaca e marciume, passando davanti a lussuose stanze ornate di tappeti, davanti a studi polverosi con strette finestre sbarrate, davanti a ripostigli ingombri di ciarpame con la doratura scrostata. Là non c’era quasi nessuno. Raramente un cortigiano si arrischiava ad avventurarsi in quel labirinto nella parte posteriore del palazzo, dove le lussuose residenze reali, progressivamente, si erano trasformate nella cancelleria del ministro per la sicurezza della corona. Là era facile perdersi. Tutti ricordavano l’episodio in cui una pattuglia della guardia, che stava facendo il giro del perimetro del palazzo, era stata spaventata dalle urla strazianti di un uomo che allungava le mani ricoperte di graffi attraverso le sbarre di un’apertura. “Salvatemi!” aveva gridato l’uomo. “Sono un valet de chambre! Non so come uscire! Sono due giorni che non mangio! Portatemi fuori di qui!” (Per dieci giorni, tra il ministro delle finanze e il ministro di corte, ci fu una vivace corrispondenza, dopodiché venne deciso di buttare giù le sbarre, e durante quei dieci giorni nutrirono lo sfortunato valet de chambre servendogli carne e pane sulla punta di un giavellotto.) Inoltre, là non era sicuro. Nei corridoi angusti si scontravano guardie alticce che proteggevano il re e squadristi alticci che proteggevano il ministro. Si davano battaglia accanitamente e, quando si sentivano appagati, se ne andavano, portando via i feriti. Infine, anche gli assassinati si aggiravano in quei meandri. A palazzo se ne erano accumulati parecchi in due secoli.

Da una profonda rientranza di una parete emerse una sentinella degli squadristi con l’accetta in mano.

«Non potete passare» dichiarò in modo tetro.

«Che ne sai tu, sciocco!» disse Rumata con noncuranza, liquidandolo con una mano.

Sentì lo squadrista avanzare indeciso dietro di lui, e d’un tratto si sorprese a pensare che le parole ingiuriose e i gesti sprezzanti gli erano venuti meccanicamente, che non stava più recitando la parte del cafone di alto lignaggio, ma che lo era in gran parte diventato. Si immaginò così sulla Terra e iniziò a sentirsi nauseato e imbarazzato. Perché? Cosa mi è successo? Che fine hanno fatto il rispetto coltivato e nutrito sin dall’infanzia e la fiducia per i miei simili, per l’uomo, per la meravigliosa creatura chiamata ‘uomo’? Niente può più aiutarmi, pensò con orrore. Poiché li odio e li disprezzo davvero… Non provo compassione, no: li odio e li disprezzo. Posso giustificare quanto voglio la stupidità e la brutalità di questo ragazzo davanti al quale sono passato ora, le condizioni sociali, l’orribile educazione, tutto quello che voglio, ma adesso vedo nitidamente che è mio nemico, nemico di tutto ciò che amo, nemico dei miei amici, nemico di ciò che reputo più sacro. E non lo odio teoricamente, non come ‘tipico rappresentante’, ma odio proprio lui, lui come individuo. Odio il suo muso bavoso, il fetore del suo corpo non lavato, la sua fede cieca, il suo risentimento verso tutto ciò che è estraneo alle funzioni sessuali e agli alcolici. Eccolo che sta lì



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