Archiviare tutto by Gabriella Giannachi

Archiviare tutto by Gabriella Giannachi

autore:Gabriella Giannachi [Giannachi, Gabriella]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Treccani
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


FIGURA 4.1. SANTU MOFOKENG, THE BLACK PHOTO ALBUM / LOOK AT ME: 1890-1950. © SANTU MOFOKENG. PER GENTILE CONCESSIONE DI LUNETTA BERTZ, MAKER, JOHANNESBURG.

Gli archivi fotografici di questo genere costituiscono mappe comportamentali che sono allo stesso tempo «attestazioni di esclusione e monumenti a determinate configurazioni di potere» (Hamilton et al., 2002, p. 9). Poiché sono indice dei rapporti di forza tra culture, razze e gruppi politici, il loro valore risiede proprio nel loro potere trasformazionale sullo spettatore. Grazie a questo processo potremmo finalmente riconoscere l’importanza duratura di individui che finora sono rimasti perlopiù invisibili nella storia del mondo.

Negli archivi diasporici, così come in quelli coloniali, ancor più che in altri tipi di archivi, il “punto di vista” è cruciale e spesso trascurato. Forse è per questo che Ranajit Guha (1994) e Greg Dening (1995, p. 54, corsivi miei) ci invitano a non considerare fonti di questo genere come «sorgenti di vero significato» e «fonti di verità coloniali in sé e per sé». Nicholas Dirks (et al., 1993, pp. 279-313) osserva per esempio che le prime storiografie coloniali nell’India britannica dipendevano dagli informatori locali, che però venivano poi esclusi da quelle stesse storie. Il punto di vista e il ruolo del testimone – in questo caso, dell’informatore locale – sono importanti non solo perché permettono di comprendere le origini di un archivio, ma anche perché possono mettere in luce rapporti di potere e perfino puncta che resterebbero altrimenti invisibili e che invece sono indispensabili per determinare il valore di un simile archivio. Bronisław Malinowski spiega l’importanza cruciale del punto di vista in Argonauti del Pacifico occidentale (1973), in cui espone per la prima volta la teoria dell’osservatore partecipante, che valorizza la presenza dell’antropologo sul campo e la sua funzione di filtro delle informazioni. Esplicitare il punto di vista, mantenere un io narrante all’interno dell’archivio, è quindi fondamentale non solo per determinare la veridicità o la veracità dell’archivio stesso, ma anche per stabilire come l’atto di testimonianza dell’osservatore possa avere influito sul funzionamento di quello che Derrida (2005a, p. 28, corsivi nell’originale) ha definito «archivio archiviante», cioè l’organizzazione tecnica dell’archivio che, come si è visto al capitolo 1, determina la «struttura del contenuto archiviabile nel suo stesso sorgere e nel suo rapporto con l’avvenire». Conoscere il punto di vista, molto spesso nascosto, è fondamentale soprattutto nell’archivio diasporico. In altre parole, sapere a chi appartiene la mappa che stiamo usando è indispensabile per poter interagire in modo attivo con il dispositivo dell’archivio.

Ciò che resta degli archivi, in particolare di quelli diasporici, è spesso la conseguenza di distruzioni o saccheggi legati a conflitti. Come sappiamo da Michel de Certeau (2006, p. 87), gli atti di appropriazione hanno spesso una natura distruttiva, ma costituiscono allo stesso tempo quello che lui definisce «punto di partenza», un indicatore di un momento di trasformazione che potrebbe essere «la condizione di una nuova storia». Wolfgang Ernst descrive due momenti di grande importanza storica per lo sviluppo dell’archiviazione nel mondo occidentale. Il primo si colloca subito dopo il 1794, all’indomani



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