Assedio e tempesta by Leigh Bardugo

Assedio e tempesta by Leigh Bardugo

autore:Leigh Bardugo [Leigh Bardugo]
La lingua: ita
Format: epub, mobi, azw3
editore: MONDADORI
pubblicato: 2021-01-18T23:00:00+00:00


13

Il sentiero serpeggiante di ghiaia bianca ci condusse attraverso il parco del palazzo, oltre i prati ondulati e gli stravaganti capricci architettonici, oltre le alte pareti del labirinto di siepi. Tolya, di solito tranquillo e silenzioso, si agitava sulla sella, la bocca tesa in una linea imbronciata.

«C’è qualcosa che non va?» chiesi.

Pensai che non volesse rispondere, invece dopo un po’ disse: «C’è odore di debolezza qui. Come di gente rammollita».

Lanciai un’occhiata al guerriero gigante. «Tutti sono rammolliti al tuo confronto, Tolya.»

Di solito si poteva contare su Tamar per stemperare il cattivo umore di suo fratello, invece con mia sorpresa lei lo appoggiò. «Ha ragione. Questo posto sembra moribondo.»

Non mi stavano aiutando a rilassare i nervi. Il pubblico nella sala del trono mi aveva lasciato irrequieta, ed ero ancora un po’ sconcertata per la rabbia che avevo provato verso il re, anche se lo sapevano anche i Santi che se la meritava. Era uno schifoso vecchio libidinoso a cui piaceva approfittare delle giovani domestiche, per non parlare del fatto che era un pessimo capo di Stato e che aveva minacciato di giustiziare sia me sia Mal nel giro di pochi minuti. Al solo pensarci, provai un altro accesso di amara indignazione.

Il mio cuore prese a battere più forte quando entrammo nella galleria formata dagli alberi. I tronchi ci stringevano sui lati e sopra di noi i rami si intrecciavano creando un tetto verde. L’ultima volta che li avevo visti erano spogli.

Emergemmo nella vivida luce del sole. Sotto di noi c’era il Piccolo Palazzo.

Mi resi conto che mi era mancato. Mi erano mancate la luminosità delle sue cupole dorate, quelle strane mura con intagli che riproducevano ogni genere di bestie, reali o immaginarie. Mi era mancato il lago azzurro che luccicava come una fetta di cielo, la minuscola isola non proprio al centro, le macchioline bianche dei padiglioni degli Evocatori sulla sponda. Era un posto diverso da tutti gli altri. Mi sorprese scoprire quanto mi ci sentivo a casa.

Ma non tutto era come l’avevo lasciato. C’erano soldati del Primo Esercito distribuiti per il parco, con i fucili in spalla. Dubitavo che sarebbero stati molto utili contro una squadra di Spaccacuore, Chiamatempeste e Inferni, ma il messaggio era chiaro: non ci si doveva fidare dei Grisha.

Un gruppo di domestici vestiti di grigio attendeva sui gradini per prendere i nostri cavalli.

«Pronta?» sussurrò Mal mentre mi aiutava a smontare.

«Vorrei che la gente la smettesse di farmi questa domanda. Ho l’aria di non essere pronta?»

«Hai l’aria che avevi quando ti ho buttato di nascosto un girino nella minestra e tu per sbaglio l’hai ingoiato.»

Trattenni una risata, e la mia preoccupazione si ridusse in parte. «Grazie per avermelo ricordato. Mi sembra di non avertela ancora fatta pagare, quella.»

Mi fermai per lisciarmi le pieghe della kefta, prendendomi tutto il tempo nella speranza che le mie gambe smettessero di tremare. Poi salii i gradini, seguita dagli altri. I domestici spalancarono le porte ed entrammo. Attraversammo l’ingresso fresco e scuro e raggiungemmo la sala della cupola dorata.

Era un vasto esagono con le proporzioni di una cattedrale.



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