Banduna - Andare al terremoto by Alessandro Mari

Banduna - Andare al terremoto by Alessandro Mari

autore:Alessandro Mari [Mari, Alessandro]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Narrativa, Generica
ISBN: 9788858850244
Google: wU9-bwcKy7YC
editore: Feltrinelli
pubblicato: 2011-12-14T23:00:00+00:00


Luna e firmamento. Lo Asino che Sale è ricordo, la morte di Joachim un tormento mai nato. Il nordico è in cammino. Da bravo viandante ha risalito il promontorio e conquistato la sommità del basso colle che si leva alle sue spalle, cupoliforme come una mammella rigonfia di latte e appuntito da un capezzolo di pietre squadrate e di calce – ciò che resta di un vecchio osservatorio militare.

“Mi manca il fiato.”

È accaldato, forse la febbre della stanchezza, ma non ha permesso alla notte di ostacolarlo, né demorde. Ormai fiuta la diceria, e quell’odore di femmina è così reale e sostanzioso che lui può cibarsene col naso, miscelarlo con le attese del cuore e dello stomaco, digerirlo e averne energie. “Ci sono, ci sono,” sussurra di tanto in tanto, preda di vertigini stanche e dell’indolenzimento alle gambe, ma non si ferma. Perché finalmente scende.

Ha frugato nello zaino e acceso una lanterna cieca che ha già dovuto rabboccare, ma ad affascinarlo non è la fiamma sua, la bolla di luce assediata dal nero, quanto le fiaccole che risplendono in lontananza. Si chinano e rinculano, mostrano le folate di chiasso che vengono da uno sterrato oblungo, simile a un occhio ardente e orlato da una tenebra senza confini, ma costellata di profili che, nel restituire il chiarore della luna, si lasciano intuire. Terzo indizio materiale.

Lo sterrato è ai piedi del colle, forse un miglio, e il nordico va laggiù tenendo davanti a sé la lanterna come un pugnale. Ogni sibilo, ronzio, ogni movimento di predatori notturni lo colpisce come una secchiata d’acqua, gli fa voltare il capo e puntare l’arnese, ma non lo rallenta.

Nell’appressarsi della meta, però, il timore si dilata e s’addensa tanto da appesantire il passo; il nordico lo avverte all’altezza delle viscere, che massaggia quasi avesse ingoiato un boccone di piombo, e presto alla lanterna preferisce la lama vera, a doppio filo, che tiene alla cintola. Smorza la fiammella perché non lo avvistino dallo sterrato, si fonde con la tenebra, ma non appena può scrollarsi di dosso la momentanea cecità riprende il cammino – con lentezza, litigando con la vegetazione e coi sassi, gli avvallamenti, i dossi. Seppur assillato che un balordo o un animale stiano per assalirlo, non devia mai dalla linea che congiunge i suoi piedi allo sterrato.

Quando non mancano che trecento passi, la pendenza infine si addolcisce e gli stivali non devono più aprirsi la via fra ginestre e rosmarino, ma scivolano agevolmente su sbavate di lumache e su un manto d’erba che attutisce i passi. Gli arbusti diradano, il chiasso rumoreggia di più, l’umidità s’ispessisce.

Poi, improvviso, ecco un fruscio. Il nordico si ferma, inutile scrutare dentro l’oscurità; serve imporsi la calma e lasciar correre gli istanti. Quando le orecchie finalmente si accordano all’inventario di suoni custodito nel cranio, il nordico si convince che qualcuno sta solamente sbrogliando delle vesti: il fruscio sale da un grumo d’ombre e non si avvertono risolini né bisbigli; non deve trattarsi di amanti né di malintenzionati.

Il nordico temporeggia, non sa



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