Breve storia del nazismo by Gustavo Corni

Breve storia del nazismo by Gustavo Corni

autore:Gustavo, Corni [Corni, Gustavo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Universale Paperbacks il Mulino
ISBN: 9788815323828
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2015-10-14T22:00:00+00:00


Il cenno al gas non ha nulla a che fare con le modalità dello sterminio, decise molto più tardi; il dittatore si riferisce all’esperienza di soldato colpito da un attacco di gas iprite. Chiaro è invece il distacco di Hitler dall’antisemitismo dei pogrom violenti; la soluzione doveva essere razionale.

A questo punto si riaffacciano i dilemmi storiografici citati all’inizio: questa vaghezza era sintomo di una reale incertezza di Hitler, oppure serviva per mascherare quanto egli aveva già chiaro in mente? Una risposta è difficile, stante la scarsezza di fonti. Mentre è certo che la distruzione degli ebrei (se non fisica, almeno sociale e il loro spostamento fuori dal Reich) ha rappresentato uno dei punti fermi della sua Weltanschauung, non si può sostenere che Hitler perseguisse un master plan sfociato nello sterminio.

All’interno del variegato movimento nazionalsocialista non tutti erano egualmente antisemiti. L’antisemitismo non era in questa fase una componente basilare del nazionalsocialismo. Certo, c’erano agitatori più radicali dello stesso Hitler, come Goebbels, al quale il Führer demandò l’orchestrazione della propaganda antiebraica, o come Julius Streicher, editore di un volgare giornale: «Der Stürmer» (L’assaltatore)[6].

Altri esponenti della NSDAP mettevano l’antisemitismo ai margini della loro azione. I dati raccolti negli anni Trenta da un sociologo americano, Theodor Abel[7], attraverso questionari mostrano come anche fra i semplici iscritti al partito l’antisemitismo non fosse centrale. Comunque, era evidente che il partito di Hitler auspicava decisi interventi per risolvere la «questione ebraica». Né sembrava possibile quanto era avvenuto invece in Italia per il fascismo: che un certo numero di ebrei aderisse al partito nazionalsocialista. Ma nulla nel gennaio del 1933 lasciava presagire che l’antisemitismo sarebbe sfociato nel genocidio.

Negli anni seguenti il problema ebraico rimase a lungo ai margini della politica del regime. Hitler doveva infatti tenere conto della propria debolezza, interna e internazionale. Il suo moderatismo è dimostrato dall’interruzione anzitempo della «giornata nazionale» di boicottaggio degli esercizi commerciali ebraici, effettuata il 1o aprile 1933 e voluta dalle SA. Nella legge-quadro che escludeva gli ebrei dal servizio statale, promulgata il 7 aprile, Hitler recepì le limitazioni poste da Hindenburg: dal licenziamento sarebbero stati risparmiati gli ex combattenti, i loro orfani e le vedove.

In questa prima fase, fino al 1935, si alternavano boicottaggi e interventi legislativi su dettagli della vita quotidiana: esclusione da determinate professioni, da associazioni, divieti di muoversi con mezzi pubblici, e altro. Erano interventi «chirurgici», per così dire, intesi a offendere la dignità degli ebrei, a danneggiarne gli interessi materiali e a costringerli ad andarsene. In tal modo si ottenne un duplice risultato. Il messaggio lanciato all’opinione pubblica era che occorreva intervenire in modo radicale per risolvere la questione ebraica; nei confronti degli ebrei stessi, invece, si suscitò un’aspettativa che leggi precise chiarissero la questione, finora lasciata all’arbitrio delle procedure amministrative.

Le leggi emanate il 15 settembre 1935 e note come «leggi di Norimberga» giunsero a proposito, regolando, in modo peraltro vago, i criteri di appartenenza al popolo tedesco e imponendo divieti di rapporti matrimoniali o sessuali fra membri del popolo tedesco ed ebrei. Si trattava di leggi-quadro, scaturite da un processo decisionale improvvisato[8].



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