Breve storia della letteratura francese by Ida Merello

Breve storia della letteratura francese by Ida Merello

autore:Ida Merello [Merello, Ida]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2023-11-07T12:00:00+00:00


Francis Jammes e il naturismo.

La dichiarazione di poetica di Francis Jammes (1868-1938), pubblicata nel 1897, volle rappresentare solo il manifesto del jammisme. Una delle sue migliori raccolte, De l’Angélus de l’aube à l’Angélus du soir, è del 1898: Jammes viveva immerso nella natura, nominava con precisione botanica i fiori e le piante, e rifiutava, proprio come Pascoli, di citare solo gigli, rose e malvarose. «Il mio ricordo è, se posso dire, vegetale», scriveva, elencando fiori dai suoni melodiosi, ma anche insetti, con una forte insistenza sugli stessi temi. Ma la campagna è abitata, e coloro che ci vivono, dai lavoratori dei campi al fattore al curato di campagna al notaio, diventavano ugualmente soggetti poetici. Le immagini sono intrise di nostalgia, mediate attraverso il frequente uso dell’aggettivo «vecchio» riferito a ogni cosa. Per Jammes il buon poeta doveva dire, «come se si fosse il primo uomo, ciò che si vede, ciò che si ama, ciò che si perde». Il lessico è semplice, ripetitivo, aperto a vocaboli tecnici della campagna, ma con una ricchezza di metafore inusuali che non rimandano, come per il simbolismo, a un mondo spirituale, bensí rappresentano un modo inedito di vedere le cose («L’enfant dort comme une framboise sous sa feuille», «il bambino dorme come un lampone sotto la foglia»). Jammes alterna sostantivi isolati a una molteplicità di aggettivi riferiti allo stesso termine, quasi come una modulazione musicale. I versi non rifiutano la metrica tradizionale, ma sono disarticolati dagli enjambements, mescolando ritmo e aritmia, senza curarsi delle cesure, degli iati e facendo largo uso di assonanze.

Accanto alla tendenza naturista, altre ne sorgono, in un proliferare di «ismi» di breve durata. Se un percorso abbastanza consueto delle nuove generazioni dell’epoca è il passaggio da una giovinezza parnassiana a un’evoluzione simbolista, negli anni Novanta tutti sembrano procedere in ordine sparso, alla ricerca di nuove strade. Cosí Albert Samain e Charles Guérin, ad esempio, evolvono da ritmi, motivi, linguaggio e sonorità squisitamente simbolisti verso un neoparnassianesimo che non esclude però l’osservazione della gente comune delle campagne, oggetto di bozzetti e ritratti. Proprio l’attenzione alla natura e al lavoro manuale è responsabile del grande cambiamento della postura lirica, che non rinvia piú alla trascendenza e al simbolo ma intende cogliere la pienezza della realtà nella sua immanenza. Si deve alla grande personalità artistica del belga Émile Verhaeren (1855-1916) un ruolo di primo piano in questa fase di transizione. Già distintosi nel gruppo parnassiano della «Jeune Belgique», Verhaeren era approdato poi, durante un soggiorno londinese (grazie alla vicinanza estetica con i pittori James Ensor e Félicien Rops), a un simbolismo oscuro e fiammeggiante, vicino all’espressionismo, manifestato in versi liberi spezzati, con un uso insistito dell’anafora. Col trascorrere degli anni Novanta, però, il socialismo rivoluzionario e l’esaltazione nietzschiana dell’energia e della forza gli fornirono le premesse teoriche per una trilogia sociale (Les Campagnes hallucinées, 1893; Les Villages illusoires, 1895; Les Villes tentaculaires, 1895). Verhaeren descrisse a tinte forti l’abbandono delle campagne per le città industriali, avvolte dai fumi delle fabbriche. Anche se sognava un



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