Calypso per l'87° Distretto by Ed McBain

Calypso per l'87° Distretto by Ed McBain

autore:Ed McBain [McBain, Ed]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mndadori - Il Giallo Mondadori
pubblicato: 1980-05-14T16:00:00+00:00


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Esattamente come aveva intuito che "Una pletora di Daisy" sarebbe stato un ottimo titolo per un romanzo per esempio sulla storia di un uomo pugnalato al cuore con la coda congelata di un cane, che poi smetteva di essere un'arma perché si ammorbidiva nell'aria di una giornata da trentacinque all'ombra (peccato solo che qualcosa del genere fosse già stato fatto con un gambo di dalia nelle avventure di Dick Tracy quando Meyer era un ragazzino), lui intuiva adesso, in pieno accordo con la signora Hawkins, che "Caribou Corner" era forse il nome peggiore mai scelto per un ristorante dove si servivano soprattutto bistecche. Nel tentativo di trovare nomi peggiori di quello in quanto ad attrattiva per i clienti, gli venne in mente soltanto "Al Bufalo peloso". Il protagonista di "Una pletora di Daisy" portava la sua ragazza in un ristorante che si chiamava "Al Bufalo peloso", e là qualcuno gli sparava da dietro un tendaggio rosso. Il protagonista poteva chiamarsi indifferentemente Matteo, Giovanni, Andrea, Tommaso, Pietro, Taddeo, Filippo, Bartolomeo, Simone o Giovanni, Maggiore o Minore, perché nella narrativa i buoni si chiamavano quasi sempre come uno dei dodici apostoli, eccezione fatta per chi, chiamandosi Giuda Iscariota, risultava essere (quanto scommettiamo?) un cattivo, e che comunque era già stato sostituito a suo tempo da Mattia. A volte i buoni potevano anche avere il nome di Paolo o Barnaba, apostoli sostitutivi. E a volte prendevano il nome di altri tipi biblici come Marco, Luca, o Timoteo. I cattivi di solito si chiamavano Frank, Randy, Jug, Billy-Boy o Il Calvo. I tipi insipidi erano Larry, Eugene, Richie e Sammy. I furbi venivano chiamati Morris, Irving, Percy, Toby e, a pensarci bene, Meyer, grazie papà.

Il proprietario del "Caribou Corner" si chiamava Bruce Fowles.

Secondo i recenti studi di Meyer, il nome Bruce aveva due soli ruoli. Un Bruce era o un grassone o uno zotico peloso al lavoro per demolire il mito della mascolinità. Nella vita reale, Bruce Fowles era un bianco sulla quarantina, alto circa uno e settantacinque, sugli ottanta chili, con capelli biondi che cominciavano a diradarsi in cima alla testa, e questo Meyer lo notò subito. Indossava un paio di blue jeans e una maglietta rossa con sopra stampata la testa di un cervo o un alce, comunque una bestia con un gran paio di corna che si allargavano verso le spalle minacciando di arrotolarsi attorno alla gola di Bruce Fowles. Uscì dalla cucina del ristorante asciugandosi le mani in uno strofinaccio per i piatti. Se Meyer avesse dovuto dargli un nome, l'avrebbe chiamato Jack. Ne aveva tutta la faccia, di un Jack. L'uomo tese la mano e strinse quella di Meyer come avrebbe fatto Jack Fowles, anche se si chiamava Bruce.

- Salve - disse. - Sono Bruce Fowles. La cameriera mi ha detto che siete della polizia. Quale infrazione ho commesso questa volta?

- Che io sappia, nessuna - disse Meyer, sorridendo. - Sono venuto per farvi qualche domanda su una ragazza che secondo le mie informazioni ha lavorato per voi nel mese di marzo.



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