Che fare? by Nikolaj Gavrilovič Černyševskij

Che fare? by Nikolaj Gavrilovič Černyševskij

autore:Nikolaj Gavrilovič Černyševskij
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Letteratura russa,
editore: Garzanti
pubblicato: 2017-09-23T16:00:00+00:00


2

La storia fu completata nei giorni seguenti. Kirsanov e la Krjučova avevano vissuto insieme circa due anni. I sintomi del male parevano scomparsi. Ma nella primavera del secondo anno, la tisi si manifestò avanzatissima. Era forza separarsi, per allontanare o anche scongiurare il pericolo. Condannar la poveretta a un qualunque lavoro sedentario era lo stesso che ucciderla. Ma Kirsanov aveva conoscenze nel mondo teatrale; e così gli venne fatto di allogarla presso un'artista di canto, buonissima donna. La separazione fu dolorosa, ma era inevitabile.

Finché l'artista calcò le scene, la Krjučova si trovò bene in casa di lei; ma un brutto giorno alla vita teatrale successe la vita coniugale, e l'attrice andò a stare in casa della famiglia del marito. Qui, il padre di costui prese a molestar la giovane cameriera del figlio. Vi furono scene domestiche; la nuora se la pigliò col suocero; il vecchio montò su tutte le furie... La Krjučova non volle esser cagione di dissidii, senza dire che non godeva più la pace di prima, e si cercò un altro posto.

Così fu che, lavorando di cucito, era stata accolta nell’officina di Vera.

S’era cullata fino all’ultimo nella illusione comune a tutti i tisici, figurandosi che il male era ancora all'inizio, tuttavia non aveva cercato di riveder Kirsanov, per non farsi del male. Ma già due mesi, andava con grande insistenza domandando a Lopuchov quanto tempo le restava da vivere. Ignorando il perché della domanda, e non vedendovi che il naturale attaccamento alla vita, Lopuchov non si credette in diritto di dirle il vero. Cercò di tranquillizzarla. Ma, ella, come accade il più delle volte, non si tranquillizzò: cercò solo di non fare l’unica cosa, che avrebbe reso meno amari gli ultimi suoi momenti, ma che, a parere del medico, li avrebbe anche precipitati. Perciò non aveva più cercato di Kirsanov.

L’equivoco, naturalmente, non poteva durare a lungo. Più si appressava la catastrofe, più insistenti divenivano le domande di lei. Prima o dopo, o ella avrebbe svelato ogni cosa, o i Lopuchov avrebbero sospettato del vero. L'apparizione fortuita di Kirsanov nell'officina aveva di un sol colpo tagliato il nodo.

«Come, come son contenta! Figurati che avevo sempre in mente di venir da te,» disse la Krjučova quando fu in camera con Kirsanov.

«Sì, Anastasja, né io son meno contento di te. Adesso non ci separeremo più. Vieni a star con me,» rispose Kirsanov, trasportato da un sentimento di pietoso affetto. E subito dopo pensò: «Come mai le ho detto tal cosa? Forse la poveretta non ha ancora il sospetto della sua prossima fine...»

Ma ella o non comprese il senso delle parole di lui, o era troppo assorbita dalla gioia dell'incontro e del rifiorire dell'amore.

«Come sei buono!» esclamò. «Tu mi ami sempre come una volta! »

Ma quando rimase sola, pianse amaramente, poiché le balenò il senso riposto di quella parola affettuosa: «Non serve oramai aver più riguardi: il caso è disperato, e tant'è che non le si neghi una gioia.»

E fu veramente una gioia senza pari. Egli non le si staccava dal fianco, eccetto le ore che passava all'ospedale e all'Accademia.



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