Chi sta male non lo dice (Italian Edition) by Antonio Dikele Distefano

Chi sta male non lo dice (Italian Edition) by Antonio Dikele Distefano

autore:Antonio Dikele Distefano [Distefano, Antonio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Literature & Fiction, One hour (33-43 pages), Foreign Languages, Italian, Contemporary Fiction, Foreign Language Fiction
ISBN: 9788852077067
Amazon: B01LZBAMVT
editore: MONDADORI
pubblicato: 2016-09-28T22:00:00+00:00


La convivenza con mio padre è stata una convivenza silenziosa. Negli anni in cui abbiamo vissuto insieme, mi ha sempre salutata con un cenno del capo. Quando salendo le scale mi trovava seduta su un gradino, perché avevo perso o scordato le chiavi, lui non mi rimproverava, si limitava a dirmi “entra” o “stai più attenta la prossima volta”.

Abitavamo in un appartamento piccolo in periferia. La via si chiamava Tommaso Gulli. La casa aveva due camere da letto ed era arredata con il gusto di un uomo anziano. Mobili in legno, poltrone in stoffa, lampadari orribili. Non toccammo nulla dell’arredamento perché eravamo in affitto e il proprietario ci aveva impedito di spostare i mobili o cambiarli. Il balcone affacciava sul cortile interno, e io di notte mi sedevo lì a guardare le finestre degli altri, ad ascoltare i rumori nelle case dei vicini provando a decifrarli. Di fronte a noi viveva una famiglia di italiani che ogni domenica riuniva tutti i parenti a pranzo. La prima settimana che entrammo in casa, ci misero subito in guardia rispetto al quartiere, dicendoci “sono poche le persone per bene qui, non uscite tanto la sera”.

Ogni giorno si sentivano notizie di furti, borseggi e spaccio. Di notte le strade diventavano il campo di battaglia di chi conosceva pochi altri metodi di sopravvivenza. La mattina, gli spacciatori si concentravano nei vicoli intorno alle scuole, mentre la sera, quelle stesse strade buie e silenziose diventavano teatri di violenza e prostituzione. Qualcuno ci aveva provato a rivalutare la zona, qualche residente coraggioso organizzava manifestazioni e concerti cittadini in piazza per mostrare che in quel pezzo di strada c’era anche un pezzo di vita. Ma tutto risultava inutile.

Dalla finestra della mia camera vedevo chilometri di cemento armato, nei cortili delle case le persone andavano e venivano, immersi nei loro traffici. I lampioni emettevano una luce gialla che da lontano sfocava i dettagli, lasciando intravedere solo le ombre. Gli appuntamenti con gli spacciatori avvenivano nella piazza a ridosso del centro ricreativo dove anche tu a volte ti fermavi a comprarla.

Le notti in cui ero a casa, rimanevo sveglia fino a tardi. Provavo a riconoscere le voci e i rumori, immaginando cosa stesse succedendo fuori dalla mia stanza. Mio padre mi rimproverava sempre, diceva “vai a dormire, che la bolletta della luce non la paghi tu”.

Ma io ho sempre amato quei momenti, quelle notti in cui non riesci a dormire e pensi, quelle notti in cui appoggi la testa sul cuscino alle due, chiudi gli occhi alle tre e ti addormenti alle quattro. Il posto più bello dove sono stata nella mia vita non è stato un luogo, ma un tempo: la fascia oraria che oscilla tra le ventitré e le quattro del mattino.

A volte, mi sedevo sotto casa dopo aver buttato il pattume e pensavo “perché si chiamano parchi pubblici?”. Pensavo ai parchi, perché ne avevamo uno dietro casa, si chiamava “Parco delle mani fiorite” ed era famoso perché di notte i tossici gettavano le siringhe a pochi metri da dove giocavano i bambini.



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