Cocco di mamma by Howard Jacobson

Cocco di mamma by Howard Jacobson

autore:Howard Jacobson [Jacobson, Howard]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2023-01-14T23:00:00+00:00


12. Yenevelt

Ebbi un’inattesa reazione botanica all’Australia. Mi dischiusi come un fiore nel giorno in cui arrivai. E mi richiusi in quello in cui me ne andai.

In una pesante giornata di febbraio, di un blu elettrico, il piroscafo Oriana si infilò tra gli Heads. C’era un vento caldissimo. Riuscivamo appena a distinguere l’arco del ponte, promettente come un arcobaleno. Gabbiani grandi il doppio di qualunque altro ne avessi mai visto in Inghilterra si libravano sopra di noi. Waltzing Matilda suonava dagli altoparlanti della nave. Alcuni diportisti a bordo di piccole imbarcazioni ci accolsero con alte grida, neanche fossero lì da settimane a chiedersi che fine avessimo fatto. Le persone allineate sul molo sventolavano bandierine e reggevano pezzi di cartone con su scritti vari nomi. Fu un ingresso assurdamente teatrale, come entrare su un palcoscenico. Sentii l’impulso di piangere. Filmai Barbara con i capelli al vento, mentre rispondeva al saluto di persone che non conosceva. Quella era una grande differenza tra noi: lei salutava chiunque sventolando la mano, io lo facevo di rado e con riluttanza. Lei mi filmò mentre mi picchiettavo le guance – “degli spruzzi di mare”, le dissi – e mi sforzavo, dopo tutti i giorni passati su quell’ondeggiante materasso di gomma che era l’oceano Indiano, di trattenere il contenuto del mio stomaco. Il terreno sotto i miei piedi sarebbe rimasto instabile per tutto il resto del tempo che avrei passato laggiù. Ma solo in piccola parte questo sarebbe stato imputabile al mal di mare.

Il professor Goldberg – Sam – ci aspettava sul molo. Benché dicessero che avesse una mente diabolica, sembrava un personaggio abbastanza innocuo, basso e grassottello, con una bocca da cherubino. Indossava pantaloncini corti alle ginocchia? Possibile. A parte questo, in lui non c’era nulla di palesemente australiano. Non posso nemmeno affermare di aver percepito di colpo la natura diabolica del suo lavorio interno, ma tra gli ingenui che avevo frequentato a Cambridge mi era capitato di incontrare uno o due accademici che sapevano come sbrogliarsela con la politica della letteratura, e lui me li ricordava. Con politica della letteratura non intendo il capire come assicurarsi avanzamenti di carriera grazie alle pubblicazioni; intendo il saper impiegare le sottigliezze acquisite leggendo al fine di prendere il sopravvento su coloro che non leggono altrettanto bene, o che temono di essere conosciuti come si conosce un libro. In seguito, quando ebbi l’opportunità di trascorrere più tempo con lui, rimasi affascinato dal modo in cui sbucciava una mela, in una singola spirale di buccia, come se non lasciasse nulla al caso. Certe volte, mi sentivo come doveva essersi sentita la mela. O una poesia, quando lui aveva finito di analizzarla. Ma per il momento lo consideravo un protettore.

“Stanotte starete da noi,” disse, “e prima, se vi va,” – si accorse che barcollavo – “ceneremo con il dipartimento.”

Il dipartimento. Ecco, in due parole, il dramma – da un punto di vista meramente accademico – che avrebbe assorbito tutto il mio tempo a Sydney. Perché in realtà non cenammo con il dipartimento.



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