Credere e curare by Ignazio Marino

Credere e curare by Ignazio Marino

autore:Ignazio Marino [Marino, Ignazio R.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


IV.

Una missione in crisi d’identità

Un silenzio anomalo per un’équipe chirurgica al lavoro in sala operatoria, e una tensione palpabile, nonostante ogni cosa fosse al posto giusto, ogni movimento perfettamente coordinato. Anche la musica dell’impianto stereo della sala numero sei era spenta e nessuno dei chirurghi aveva chiesto di mettere il suo nastro preferito. I nostri sguardi non si scostavano dal campo operatorio anche se sentivamo su di noi quelli degli scienziati e dei giornalisti che avevamo invitato e che ci osservavano dall’alto, dalla piccola aula posta al di là dei vetri della cupola della sala operatoria. Sono le sensazioni che mi sono rimaste piú impresse di quel 28 giugno 1992, il giorno in cui per la prima volta nella storia venne eseguito un trapianto di fegato da babbuino a essere umano.

In quegli anni, i trapianti d’organo vivevano un vero e proprio boom. A Pittsburgh, nella struttura diretta da Thomas Starzl, lo scienziato che inventò la tecnica per il trapianto di fegato, se ne eseguivano piú di cinquecento l’anno. Molti piú trapianti di fegato, tra le mura di quell’ospedale, che appendiciti o ernie. Eppure le liste dei pazienti in attesa di un trapianto d’organo continuavano ad allungarsi, creando una differenza sempre piú ampia tra la domanda e la capacità di risposta da parte della medicina. Anche per questo si iniziò a pensare di utilizzare gli animali, che avrebbero potuto rappresentare una riserva di organi potenzialmente illimitata, da destinare a esseri umani altrimenti condannati a morte certa.

La posta in gioco era alta: se il trapianto da babbuino fosse andato bene, come tutti speravamo, si sarebbe abbattuto un limite e varcata la frontiera che poteva rappresentare una speranza di vita per molti pazienti.

Avevamo studiato quell’intervento nei minimi particolari per oltre sei mesi, con il coinvolgimento complessivo di cinquanta persone, ognuna con un ruolo e un compito ben definiti. Dal punto di vista tecnico si trattava di un caso piú facile di altri, anche perché era stato pianificato e, a differenza di quanto avviene normalmente per un trapianto, non veniva eseguito in condizioni di emergenza dovute alla disponibilità improvvisa di un organo. Eppure quel giorno il lavoro in sala operatoria procedeva a rilento, per cautela ma forse anche per ritardare il piú possibile il momento della verità. Nessuno osava parlare ma lo stesso pensiero, ne sono certo, attraversava la mente di tutti noi: e se non avesse funzionato?

La fase piú delicata in quell’intervento di trapianto di fegato da animale a uomo corrispondeva al momento della riperfusione, ovvero quando l’organo prelevato dal babbuino veniva collegato ai vasi sanguigni del paziente, per iniziare a fare circolare il sangue e a ridare vita e funzioni al nuovo fegato.

Se si fosse prodotto quello che in termini tecnici viene definito rigetto iperacuto, l’organo sarebbe diventato nero nel giro di due o tre minuti, il paziente sarebbe probabilmente morto al tavolo operatorio e il nostro esperimento fallito, senza possibilità di appello. E oltre a tutto questo saremmo stati assaliti da gruppi inferociti di animalisti schierati all’esterno dell’ospedale, pronti ad attaccarci per aver sacrificato invano la vita di un babbuino.



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