Dal PCI al PD. brevi note sulla scomparsa della sinistra in Italia by Cesare Salvi

Dal PCI al PD. brevi note sulla scomparsa della sinistra in Italia by Cesare Salvi

autore:Cesare Salvi [Salvi, Cesare]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Rogas
pubblicato: 2021-05-14T22:00:00+00:00


Il PD: da Veltroni a Bersani. L’agenda Monti

Il gruppo dirigente del Pds (compreso D’Alema) pensò di affrontare l’insieme dei problemi che aveva di fronte con un’operazione politicistica, quale fu quella di dar vita al Partito democratico. Questo si rivelò fin dall’inizio uno strano miscuglio delle due concezioni che avevano fino allora diviso il Pds: nuovismo ideologico di stampo ulivista, e partitismo come sommatoria dei gruppi dirigenti dei partiti e delle correnti che ne fecero parte. Un’operazione di vertice, priva di un solido fondamento politico-culturale, che pure si sarebbe forse potuto basare sul riesame, anche critico, delle tradizioni e delle esperienze della sinistra e del cattolicesimo democratico.

Walter Veltroni tentò di individuarne la funzione nella «vocazione maggioritaria», cioè in una parola d’ordine agonistica, non contenutistica. Dopo la sconfitta del secondo governo Prodi (nata dall’illusione di una vittoria elettorale, mentre le elezioni del 2006 erano terminate in pareggio, e dall’eterogeneità della coalizione), il Pd di Walter Veltroni scelse la strada della sfida solitaria (o quasi: c’era Di Pietro).

Fu il miglior risultato del PD nelle elezioni politiche (33,2%: quasi il doppio che nel 2018), ma anche il peggior risultato della sinistra nella competizione con la destra: la differenza tra i due schieramenti non era mai stata così alta.

Da quel momento la deriva della subalternità del Pd diviene illimitata, raggiungendo l’apice con la segreteria di Pierluigi Bersani. Defenestrato Berlusconi con una lettera di due banchieri centrali, era pronta, per le elezioni anticipate che sembravano imminenti, un’ampia coalizione guidata dal Pd, potenzialmente vincente su una destra divisa e depressa. Come si sa, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano propose una soluzione diversa: il governo di Mario Monti. Il Pd non solo la accettò, e tenne in piedi il governo per l’intera parte rimanente della legislatura, ma ne divenne il più entusiasta sostenitore, votando il fiscal compact, l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione e le leggi sul lavoro, con l’eliminazione delle clausole dai contratti a tempo determinato e con la prima manomissione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, e la riduzione delle pensioni. Seguì la dissennata campagna elettorale del 2013, condotta con battute macchiettistiche e proclamando il sostegno al­l’«agenda Monti» (anche se questi aveva una sua lista, e il Pd era alleato con la sinistra di Nichi Vendola).

Il Pd di Bersani perse 8 punti rispetto a quello di Veltroni. E, successivamente, dopo un quinquennio privo di idee diverse da quella di stare comunque al governo, il 2018 fu l’anno del secondo grande terremoto del sistema politico italiano: l’anno del Movimento 5 Stelle e del primato della Lega a destra.

Come ha scritto Giovanni Orsina, «il collasso della seconda Repubblica, l’av­vento del populismo, la crisi del Pd e di Forza Italia, vengono tutti» dal biennio del governo Monti.

Ne furono travolti anche la segreteria Bersani e l’intero gruppo dirigente proveniente dal Pci. Da «rottamare», disse Matteo Renzi; e la sua parola d’ordine riscosse un grande successo alle primarie. Del resto nuovismo e neoliberismo avevano aperto l’autostrada alle idee del nuovo leader. I perdenti si adeguarono. Quando nel febbraio 2014



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