Demetrio Pianelli by Emilio de Marchi

Demetrio Pianelli by Emilio de Marchi

autore:Emilio de Marchi [Marchi, Emilio de]
La lingua: ita
Format: epub
editore: castello volante
pubblicato: 2011-11-22T23:00:00+00:00


VII

Oltre alle novità che Demetrio osservava in sé stesso (vale a dire una continua distrazione e quasi sospensione di volontà), c’era qualche cosa anche fuori di lui, che non cessava di risvegliare la sua meraviglia. Lasciamo stare che l’aria gli pareva diventata piú lucida e trasparente: ma anche la gente mostravasi come per miracolo piú affabile, piú ossequiosa verso di lui.

Il Ramella, il portinaio dell’ufficio, che non si scomodava mai se non presso le feste di Natale, ora aveva cento cose da raccontare al signor Pianelli, e correva anche a tener l’uscio, quando lo vedeva passare. Sapendo che il cavalier Balzalotti doveva andare a Roma per la discussione del nuovo organico, il galantuomo si raccomandava al bravo signor Pianelli, perché vedesse, cercasse di mettere una buona parola. Quando si hanno cinque figliuoli da mantenere e la donna che allatta, va compatito anche un povero padre di famiglia se si raccomanda. Il sor Pianelli era quel tal uomo, che aveva col cavaliere, diremo cosí una entratura per la quale…

«Che entratura?» esclamava Demetrio ridendo.

Capiva i bisogni: ma che entratura? Il suo mestiere era di copiare e basta.

Un altro giorno s’incontrò nel Quintina, il gobbetto noto per la sua lingua lunga, che non era nemmeno della sua sezione.

«Oh, caro Pianelli, come sta?» prese a cantare colla sua voce chiara quel simpaticone, andandogli incontro e fermandolo a metà della scala. «Lei è bene il fratello del povero Cesarino?! Oh, guarda! eravamo tanto amici! Oh dica: è vero che il cavaliere va a Roma?»

«Sí.»

«Vorrebbe farmi la gentilezza di ricordargli una certa istanza che gli ho presentata? sa, senza farsi scorgere, dica cosí: Il ragionier Quintina chiede se ella ha ricevuto quella tal carta… Mi fa un gran favore. E in quello che posso anch’io, comandi: son qui alla terza sezione.»

«Bella anche questa!» ruminò Demetrio nell’andar su. «Si accorge ora ch’io sono al mondo, e pare che m’abbia tenuto a battesimo. Vuol diventare cavaliere, lo so; e incarica me di toccare il tempo al meccanismo.»

Quel giorno stesso, o il giorno dopo, ricevette la visita del Bianconi, durante le ore in cui il cavaliere era a far colazione al Caffè Sanquirico.

«Come va, Bianconi? Non ci vediamo mai. Che miracolo?»

Era costui un buon diavolo sulla cinquantina, tutto bianco di capelli, col viso ancora colorito e fresco, lavoratore instancabile, ma pieno di una grande soggezione per tutto ciò che riguardava un po’ da vicino i superiori, il ministero, quelli che comandano. Non aveva osato presentarsi al cavaliere, e anche adesso, sebbene l’avesse veduto uscire dalla porta, temeva sempre di averlo alle spalle.

Avanzandosi in punta dei piedi, con un dito sulla bocca posto come un uncino, disse con un fiato spento di voce:

«Va a Roma il…?»

E segnò coll’indice mezzo nascosto dall’altra mano la poltrona vuota del cavaliere, verso la quale non osava quasi volgere il capo.

«Sí, perché?» chiese Demetrio, la voce del quale impaurí il pover’uomo, che si volse a dare un’occhiata all’uscio.

«È perché,» continuò, senza distaccare il dito dalla bocca «vorrei che gli dicessi una parolina….»

«O bravo, poiché ci sei, spiegami un po’ questo bel giuoco.



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