Dieci anni che hanno sconvolto l'Italia by Bruno Vespa

Dieci anni che hanno sconvolto l'Italia by Bruno Vespa

autore:Bruno Vespa [Vespa, Bruno]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-12-15T07:34:30+00:00


[p. 343] Sapeva di essere intercettato Pacini Battaglia? Forse sì, forse no. Qualche volta forse sì, qualche altra forse no. Lo “sbancato” diventò “sbiancato”, “stangato”, “stancato”. Poi tornò a essere quello che era: sbancato, appunto, ma Pacini Battaglia chiarirà che non voleva dire quello che aveva lasciato capire. Disse, infatti (altra intercettazione): “Io a Di Pietro non glieli ho dati”, mentre rivela le enormi cifre pagate a Lucibello. Ai procuratori di Brescia spiegò di essersi riferito alla severità processuale di Di Pietro (ma allora perché “quei due”? Anche Lucibello faceva le indagini?).

L’unico contatto inequivocabile - anche se indiretto - tra Pacini Battaglia e Di Pietro restò una scheda svizzera per cellulari Gsm non intercettabile in Italia. Pacini Battaglia acquistò un certo numero di queste carte in Svizzera e le intestò al suo autista che normalmente pagava le bollette.

Alcune carte andarono a Lucibello, due a Cesare Previti, una a Emo Danesi e una ad Antonio Di Pietro.

Questi si dimise a tutti gli effetti dalla magistratura soltanto nell’aprile del ‘95. Fu interrogato dai pubblici ministeri di Brescia una prima volta nel febbraio e una seconda nel luglio di quello stesso anno. Tra l’una e l’altra convocazione smise di usare la scheda Gsm di Pacini Battaglia. E

quest’ultimo negò di avergliela mai data. “Io le ho date a Lucibello” disse. “Che ne so a chi le ha date

il mio avvocato?”

Veniamo alla deposizione di D’Adamo, che fece infuriare Di Pietro come non s’era mai visto. Nel

‘93, la D’Adamo Editore - che si occupava prevalentemente di testi scolastici - andava malissimo e aveva bisogno di ossigeno. Tra i più generosi “fornitori” su piazza c’era Pacini Battaglia che versò a D’Adamo nove miliardi (senza solide garanzie di restituzione) per acquisire il controllo di un’azienda decotta. Ma i pozzi senza fondo sono appunto senza fondo e così D’Adamo chiese altri tre miliardi. Pacini Battaglia li versò e un suo uomo, delegato al controllo dell’azienda, se li vide sparire sotto il naso. Allora Pacini Battaglia disse a D’Adamo di restituirgli i nove miliardi (agli ultimi tre aveva rinunciato) e di riprendersi la casa editrice, ma quello gli rispose che non li [p. 344]

aveva. Si impegnò a restituirgliene quattro e mezzo, ma di fatto non andò oltre i duecento milioni.

Perché Pacini Battaglia s’accontentò di quattro miliardi e mezzo (che per altro non rivide) quando vantava un credito di nove? Perché D’Adamo sostiene di essersi accordato con lui per tenere l’altra metà a disposizione di Di Pietro. Apriti cielo. Pacini Battaglia negò. Di Pietro andò su tutte le furie e a poco servì l’assicurazione di D’Adamo che, in effetti, poi al magistrato lui non aveva dato una lira.

Questa storia venne fuori nella sua interezza nell’estate del ‘97, quando D’Adamo ripeté davanti ai procuratori di Brescia quel che aveva raccontato a Berlusconi (e che uomini del suo giro avevano prudentemente provveduto a registrare). Non si è mai capito perché Pacini Battaglia, che ne sa una più del diavolo, sia andato a perdere dodici miliardi in un’azienda decotta (disse di essere interessato a



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