E la chiamarono Vigata by Pasquale Hamel

E la chiamarono Vigata by Pasquale Hamel

autore:Pasquale Hamel [Hamel, Pasquale]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 2024-06-16T22:00:00+00:00


È follia gridare la verità

“Non ci vuole niente, sa, signora mia, non s’allarmi! Niente ci vuole a fare la pazza, creda a me! Gliel’insegno io come si fa. Basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza!”

Certamente Ciccu Pisciotta non avrà mai letto questo brano scritto dal suo illustre concittadino Luigi Pirandello, ma le sue invettive, gridate da sopra un panchetto montato davanti al Caffè Castiglione e sul quale saliva all’abbisogna per lanciare proclami, che poi erano racconti di fatti reali, ne interpretavano appieno la sostanza. La folla che gli si radunava attorno, ascoltandolo in religioso silenzio, si sentiva sbattere in faccia queste verità e ne sorrideva. Un pazzo ha infatti licenza di dire tutto quel che vuole senz’altro rischio, anche questo un po’ remoto, che quello di ritrovarsi in qualche lager aulicamente denominato ospedale psichiatrico.

Di Ciccu Pisciotta, alto, occhi spiritati, col cranio nudo, la gente ricordava molti di quei suoi “straparlamenti” carichi di allusioni più o meno feroci. Tutto il suo sfasamento era iniziato quando lui, sagrestano devoto, aveva avuto il benservito dal nuovo arciprete della chiesa madre de La Marina. La chiesa, dedicata alla Madonna del Buon Consiglio non era molto antica, risaliva ai primi del secolo passato, collocata accanto al Palazzo di città, con la facciata in tufo giallo fa da imponente quinta alla via principale del paese. Quella chiesa, che ha visto molte delle storie empedocline, come molti edifici religiosi doveva la sua edificazione alla munificenza di un sant’uomo, don Sarino Marullo, un lontano parente di mia moglie che aveva preferito la tonaca ai ricchi commerci che la sua nobile famiglia gestiva con grande successo. Don Sarino, oggi, vi riposa al suo interno in una semplice cappella decorata di bei marmi e segnata dal suo busto come grande benefattore.

In oltre cent’anni di storia in quella chiesa madre si sono alternati diversi arcipreti ma, fra questi, quello che ci interessa per il nostro racconto è uno in particolare che, caso sempre più raro, considerava la vocazione sacerdotale un rendere servizio alla comunità e a Dio. Si trattava di don Luigi Castiglione, venuto da Casteltermini, un paese di contadini e di minatori, che nell’Ottocento aveva goduto di una certa prosperità e i cui abitanti avevano sempre mostrato molta sensibilità per le vicende politiche. La fama che accompagnava l’arciprete era che fosse un buon uomo, premessa necessaria per essere un buon pastore. Don Luigi, ci ricordano le cronache, corrispose alla sua fama: vita modesta, attenzione alla povera gente, sostegno a quanti lo chiedevano e puntuale osservanza del suo ministero senza mai sottrarsi ai suoi doveri, anche nelle situazioni più difficili.

Tutto bene tranne un problema che, col tempo e l’età avanzata, si andava sempre più aggravando. Il nostro era, infatti, affetto da narcolessia, quella che comunemente e volgarmente veniva chiamata “malattia del sonno”. Accadeva, dunque, che quando meno ce lo si aspettava, cadesse in sonno profondo con i risultati che si possono immaginare. La sonnolenza arrivava troppo spesso in momenti inopportuni talora quando officiava i sacri servizi.



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