Évariste by François-Henri Désérable

Évariste by François-Henri Désérable

autore:François-Henri Désérable
La lingua: ita
Format: epub
editore: Baldini&Castoldi
pubblicato: 2017-09-20T16:00:00+00:00


XII

Se sappiamo che venne svegliato di colpo allo spuntar del sole, da cosa, nello specifico, questo non lo sappiamo: il rumore sordo di uno zoccolo ferrato sulla strada? L’urto del fodero di una spada contro la sua porta? Lo sbuffare dei cavalli nel bagliore lucido e umido dell’alba? Una voce roca, gutturale, che gli intima di mostrarsi illico et immediate? O forse – distrutto da un rosso di pessima qualità passò la notte in bianco – niente di tutto questo.

Erano due gli ingressi alla Conciergerie: quello della corte di Maggio, riservato a chi giudicava; l’altro, su Quai de l’Horloge, prediletto da coloro che dovevano essere giudicati. Entrando dalla prima, si era certi di riuscire, dall’altra niente era meno sicuro (se non per andare a Place de Grève, che non prometteva niente di buono); perciò, era meglio ascoltare lo scalpiccio dei propri passi risuonare nella corte di Maggio che sul Quai de l’Horloge ma, se per caso, è venendo da quest’ultimo che dovete entrare, troverete sulla sinistra, o sulla destra non ricordo, l’ufficio del cancelliere, un passaggio obbligato prima di raggiungere una cella che aveva sicuramente accolto qualche nome tra i più illustri di Francia. In quell’ufficio c’era uno specchio. E in quello specchio i visi pallidi e sfatti di tutti quelli che si guardavano per la prima e forse l’ultima volta.

È probabile che Évariste vi si specchiò, e se pure diamo per certo che si vide, ciò che vide, invece, non possiamo saperlo. Stando ai dati segnaletici del registro della prigione, era alto un metro e sessantasette, aveva i capelli castani, idem le sopracciglia, la fronte quadrata, gli occhi marroni, il naso grosso, la bocca piccola, il mento rotondo, il viso ovale. Tale descrizione è opera di un certo Affroy, scribacchino dell’amministrazione penitenziaria che mi immagino mentre alza pigramente quella faccia da babbeo, un faccione rosaceo da ubriacone, per esaminare Évariste con aria apatica, e annota con mano indolente sul registro capelli castani, idem le sopracciglia, la fronte quadrata ecc., me lo immagino terminare il suo dovere e rientrare a casa, picchiare sua moglie, fumare la pipa, bere mezzo litro di un vinaccio orrendo direttamente dalla bottiglia, giocare una mano a tric trac e poi coricarsi. E non riesco a non pensare che quell’uomo che ha vissuto, picchiato, fumato la pipa, giocato a tric trac e dormito (che rispetto a una vita intera non è un granché ma non è nemmeno niente), nei confronti della Storia ha solo riempito una scheda amministrativa in termini talmente vaghi da faticare oggi a immaginare la fisionomia di Évariste. Così voglio ricordare Affroy, come il più grande buono a nulla comparso sulla Terra: il solo compito anodino, minuscolo, che incombeva su di lui in questa vita, il solo che abbia giustificato la sua miserevole esistenza, è riuscito a farlo male, in modo da non sapere ancora oggi che aspetto avesse in realtà Évariste. Dal momento che non abbiamo a tal proposito altre testimonianze se non quella del buono a nulla, e che Niépce cominciava



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