Gamberale Chiara - 2013 - Per dieci minuti by Gamberale Chiara

Gamberale Chiara - 2013 - Per dieci minuti by Gamberale Chiara

autore:Gamberale Chiara [Gamberale Chiara]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
ISBN: 9788807030710
Amazon: 8807030713
editore: Feltrinelli
pubblicato: 1999-12-31T23:00:00+00:00


18 dicembre, martedì

alba 7.33 – tramonto 16.41

alla cassa, in libreria

Scrivere è, semplicemente, il mio unico rimedio all’esistenza.

È sempre stato così, fin da quand’ero bambina e mi chiedevano che cosa desiderassi per il futuro: scrivere romanzi e incontrare un grande amore, rispondevo io.

E per un bel po’ di anni sembrava che i miei due desideri si fossero avverati.

Un giorno, però, Mio Marito se n’è andato. Lì per lì ho avuto la sensazione che si fosse portato via, assieme a tutta me, anche la scrittura. Tanto più senza la Mia Rubrica che mi aiutava a scandire il tempo, durante la giornata, e che mi consentiva di arginare i mostri fra la testa e il cuore per confinarli, appunto, nei romanzi.

Di colpo i mostri, sguinzagliati, hanno invaso tutto. I sogni, i pensieri, le gambe, le braccia, il caffè.

“Non scriverò mai più, mai più,” ripetevo a Gianpietro tutte le mattine, quest’estate, quando mi ha trascinata a Formentera.

Ma poi è arrivata quella mattina. Dove misteriosamente ho sentito che non faceva più così tanto male là dove faceva male. O che forse, ormai, a quel dolore mi stavo abituando. E che in un modo o nell’altro, insomma, potevo andare avanti.

Forse lo stavo addirittura già facendo.

Il giorno dopo, nella veranda della casa di Formentera, ho provato ad aprire di nuovo il computer: l’idea di due donne che al supermercato si spiano la spesa a vicenda e appendono l’una al carrello dell’altra la propria insoddisfazione mi bussava dentro da prima dello sfacelo. Ho provato a rimettermi in ascolto. Bussava timida, inizialmente, bussava piano, l’idea. Comunque scrivevo. Anche solo per fare una cosa. Per fare quella cosa. L’unica capace di mettermi nelle condizioni di dire “io”, mentre mi riferisco a me. L’unica capace di riconsegnarmelo, quell’io. Pure se lacerato e rimbambito com’era, com’è.

Anche grazie al giorno dello smalto fucsia e all’ispirazione che mi ha regalato Cristina del centro estetico con l’immagine del sottovuoto, nonostante continui a non avere più una vita, almeno il nuovo romanzo c’è.

Magari sarà una schifezza, però lo sento, mentre lo scrivo.

E questo per ora mi basta.

Qualche giorno fa ho spedito la prima metà a Giulia, la mia editor, che oggi mi ha telefonato per cominciare a ragionare sul titolo.

“Sei sicura di volerlo intitolare Quattro etti d’amore, grazie?”

“Sì. Il punto è proprio quello, no? Le due protagoniste implorano, ognuna a modo suo, un po’ d’amore. Non tanto: poco. Nemmeno mezzo chilo. E sono disposte perfino a ringraziare chi glielo offre.”

“Certo, certo. E poi c’è la metafora del supermercato, che così arriva subito. Guarda che a me il titolo piace, Chiara. Ma mi chiedo se non ingeneri degli equivoci, se non faccia pensare a un romanzetto rosa...”

“Mmm. Dici?”

“Purtroppo siamo in Italia. È un paese provinciale, il nostro. Ti invito solo a pensarci.”

“Ma tu non la avverti la disperazione pazza e definitiva che c’è, in un titolo così?”

“Io la avverto, anche perché ho letto la prima metà del libro... Ma certi critici potrebbero, a prescindere, storcere il naso. Sia chiaro, io fossi in te me ne fregherei, ma voglio metterti in guardia.



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