I Benjamin by Unknown
autore:Unknown
La lingua: eng
Format: epub
Capitolo nono
Dietro le mura
Bautzen, città dell’Oberlausitz, mille anni di storia nonché centro della minoranza slava dei Sorbi. Ma
Bautzen vuol dire anche Gestapo, KGB, Stasi, vuol dire muri e celle. Il nome Bautzen ha due significati: l’uno è la città, l’altro è la prigione, costruita in origine come riformatorio. Bautzen e la prigione, ovvero vittime e carnefici. Dentro e fuori, il carcere viene chiamato lo «squallore giallo».
Così detto per via del clinker di questo colore che lo ricopre esternamente. Ma è soprattutto Bautzen
II, un’ala di alta sicurezza situata ai margini della città, a far rabbrividire quando si parla di questo luogo. Oggi Bautzen II è un memoriale, ed era un luogo tristemente noto già in epoca nazista. Qui fu
detenuto il segretario del KPD, Ernst Thälmann, prima di essere ammazzato nel campo di
concentramento di Buchenwald. La sua cella si è conservata e all’epoca della DDR doveva ricordare
le persecuzioni attuate dai nazisti.
Fra il 1945 e il 1956 furono registrati a Bautzen circa 27.000 prigionieri, soprattutto ex criminali nazisti. La forza occupante sovietica seguiva le risoluzioni prese a Potsdam dalle potenze vincitrici.
Nel difficile inverno 1946-47 la fame all’interno corrispose alla miseria del dopoguerra all’esterno.
Fino alla consegna del carcere alla DDR, nel 1956, vi morirono circa 3.000 prigionieri.
Nel 1950, per ordine della Commissione di controllo sovietica i campi di internamento di
Buchenwald, Sachsenhausen e Bautzen furono chiusi e i 3.432 prigionieri, insieme ai fascicoli di inchiesta contro di loro, furono consegnati alle autorità giudiziarie della DDR. Le corti si riunirono
nella cittadina di Waldheim, entrando nella storia giudiziaria della DDR come «processi di
Waldheim». Furono «procedimenti lampo», quasi del tutto privi dei formali requisiti giuridici. Le accuse furono trattate in tre mesi e i verdetti emessi a intervalli di un’ora l’uno dall’altro. Ciò suscitò violente critiche nei media occidentali, soprattutto nella Repubblica Federale Tedesca. Ci furono trentadue condanne a morte, ventiquattro delle quali furono eseguite. Vennero inflitti inoltre 146
ergastoli e 2.745 pene detentive superiori ai dieci anni. I processi di Waldheim sono visti ancora oggi
come la prova dell’arbitrarietà della giustizia nella DDR. Tuttavia non ci si domanda mai quali persone sedessero là sul banco degli imputati e se si trattasse davvero delle vittime innocenti di una
giustizia arbitraria. Si tace per esempio che la DDR, dopo la revisione dei verdetti, nel 1952 aveva già rilasciato dal carcere mille detenuti e che nuovi procedimenti di grazia si susseguivano ogni anno, tanto che nel 1956 vi erano detenuti solo trentacinque alti gerarchi nazisti. Gli ultimi due furono rilasciati nel 1964. Allo stesso modo, quasi nessuno si dà pena di leggere le trecentocinquanta pagine
della richiesta di rinvio a giudizio: i condannati a morte erano in maggioranza giuristi nazisti che in
passato erano stati attivi presso il Volksgerichtshof, in tribunali di guerra o speciali. Tutti, senza eccezione, avevano emesso dubbie condanne a morte, alcune contro individui singoli, alcune contro
dozzine o centinaia di persone. Lo stesso vale per gli esponenti delle SS e della Gestapo, seduti sul
banco degli imputati durante i processi di Waldheim. Le modalità di deduzione delle prove, giudicate
carenti, seguivano il diritto speciale degli alleati, in vigore anche nelle zone occidentali.
La storia di Bautzen al tempo della DDR comincia con i prigionieri speciali che dall’agosto 1956
furono trasferiti nel carcere speciale Bautzen II del Ministero per la Sicurezza di Stato. Il detenuto e scrittore Erich Loest definì la prigione il «kombinat della giustizia» della DDR. La sua descrizione della prigionia a Bautzen II è estremamente sobria. Ma in ogni riga, in ogni parola risuona la ferita
che gli era stata inferta con la condanna a sette anni e mezzo di detenzione in quanto
«controrivoluzionario». A Bautzen incontrò Walter Janka, direttore della casa editrice Aufbau, e Wolfgang Harich, suo vicedirettore, e inoltre Gustav Just, caporedattore del settimanale «Sonntag»,
appartenente alla casa editrice: nel 1957, accusati di «cospirazione controrivoluzionaria», erano stati
condannati come «gruppo Marich» a cinque anni di reclusione.
Erich Loest: «Siamo sempre stati convinti che si trattasse di un pubblico errore». E in un’intervista alla radio aggiunse: «Mio Dio, volevamo qualche miglioramento, volevamo un socialismo migliore
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