I nemici intimi della democrazia (Garzanti) by Tzvetan Todorov

I nemici intimi della democrazia (Garzanti) by Tzvetan Todorov

autore:Tzvetan Todorov [Todorov, Tzvetan]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Garzanti
pubblicato: 2012-07-25T22:00:00+00:00


Libertà e attaccamento

Un dibattito già avvenuto in passato aveva contrapposto due concezioni sul ruolo dell’attaccamento che gli esseri umani provano gli uni per gli altri. Secondo la dottrina cristiana, nell’interpretazione di Pascal, «tutto ciò che ci spinge ad attaccarci alle creature è male, perché ci impedisce o di servire Dio, se lo conosciamo, o di cercarlo se l’ignoriamo». Pascal stesso, secondo quanto riferisce la sorella, sapeva di essere tenero e affettuoso verso i familiari, ma fuggiva l’attaccamento, che ne fosse il soggetto o l’oggetto, e ne faceva perfino un rimprovero affettuoso alla sorella, a questo riguardo meno perfetta di lui, perché si abbandonava a sentimenti umani, troppo umani, secondo il fratello. «Non è giusto affezionarsi a me, anche se lo si fa con piacere e volontariamente. Trarrei in inganno coloro a cui facessi nascere questo desiderio, perché io non sono il fine di nessuno e non ho come soddisfarli.»26

Secondo la dottrina umanista, incarnata da Rousseau, l’uomo è un fine legittimo dell’uomo e, lungi dall’essere un atteggiamento da rimpiangere, l’attaccamento è innato alla condizione umana. Certo, scrive Rousseau, «ogni vincolo d’affezione è un segno d’insufficienza: se ciascuno di noi non avesse bisogno degli altri, non penserebbe affatto a unirsi a loro». Ma siamo così: nati in difetto, moriamo in difetto, sempre mossi dal bisogno degli altri, alla ricerca del complemento mancante. Proprio perché entra nella vita con una insufficienza innata, l’essere umano ha bisogno degli altri, bisogno di essere considerato e anche «bisogno di creare dei legami».27 Ora, ogni legame riduce la libertà.

Questa valorizzazione dell’attaccamento in un mondo che non conta più su un rapporto privilegiato con Dio non significa, comunque, che sia necessario accettare passivamente, addirittura esaltare, tutti i legami imposti all’individuo sin dall’infanzia, rendere obbligatoria la solidarietà con la famiglia, il clan, l’etnia, la razza... I rapporti più preziosi, lo diceva già Montaigne, sono quelli che dipendono «dalla nostra scelta e dalla nostra libera volontà».28 Ma come si è mai potuto pensare che l’ideale di una vita riuscita fosse l’«indipendenza» totale, ossia l’assenza di ogni obbligo e di ogni attaccamento, non soltanto verso Dio ma anche verso gli uomini? La libertà illimitata, infatti, non può essere un ideale dell’esistenza umana – del resto, non ne è nemmeno il punto di partenza.

In uno scritto politico Benjamin Constant sosteneva: «L’indipendenza individuale è il primo dei bisogni moderni». Nel romanzo Adolphe, il personaggio principale constatava, dal canto suo: «Come mancava al mio cuore la schiavitù che tante volte mi aveva indignato! [...] Ero libero: infatti, non ero più amato; ero un estraneo per tutti».29 Questa contraddizione, o almeno questa tensione, è presente in tutta la sua produzione: se i suoi scritti politici e di critica difendono ardentemente l’idea dell’individuo autonomo, la sua antropologia, che troviamo nei racconti, negli scritti intimi o nella voluminosa opera sulla religione, presenta un’altra concezione dell’essere umano. Egli nasce in seno alla società, che dunque esiste prima di lui: «Lo sviluppo dell’intelligenza a sua volta non è altro che il risultato della società»; la sua identità è essenzialmente



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