I nostri antenati - Il visconte dimezzato. Il barone rampante. Il cavaliere inesistente by Italo Calvino

I nostri antenati - Il visconte dimezzato. Il barone rampante. Il cavaliere inesistente by Italo Calvino

autore:Italo Calvino
La lingua: ita
Format: mobi
Tags: Narrativa fantastica
ISBN: 9788835704164
editore: Mondadori
pubblicato: 2020-08-23T22:00:00+00:00


XVIII

Fiorirono i peschi, i mandorli, i ciliegi. Cosimo e Ursula passavano insieme le giornate sugli alberi fioriti. La primavera colorava di gaiezza perfino la funerea vicinanza del parentado.

Nella colonia degli esuli mio fratello seppe subito rendersi utile, insegnando i vari modi di passare da un albero all’altro e incoraggiando quelle nobili famiglie a uscire dalla abituale compostezza per praticare un po’ di movimento. Gettò anche dei ponti di corda, che permettevano agli esuli più vecchi di scambiarsi delle visite. E così, in quasi un anno di permanenza tra gli Spagnoli, dotò la colonia di molti attrezzi da lui inventati: serbatoi d’acqua, fornelli, sacchi di pelo per dormirci dentro. Il desiderio di far nuove invenzioni lo portava a secondare le usanze di questi hidalghi anche quando non andavano d’accordo con le idee dei suoi autori preferiti: così, vedendo il desiderio di quelle pie persone di confessarsi regolarmente, scavò dentro un tronco un confessionale, dentro il quale poteva entrare il magro Don Sulpicio e da una finestrella con tendina e grata ascoltare i loro peccati.

La pura passione delle innovazioni tecniche, insomma, non bastava a salvarlo dall’ossequio alle norme vigenti; ci volevano le idee. Cosimo scrisse al libraio Orbecche che da Ombrosa gli rimandasse per la posta a Olivabassa i volumi arrivati nel frattempo. Così poté far leggere a Ursula Paolo e Virginia e La Nuova Eloisa.

Gli esuli tenevano spesso adunanze su una vasta quercia, parlamenti in cui stilavano lettere al Sovrano. Queste lettere in principio dovevano essere sempre d’indignata protesta e di minaccia, quasi degli ultimatum; ma a un certo punto, dall’uno o dall’altro di loro venivano proposte formule più blande, più rispettose, e così si finiva in una supplica in cui si prosternavano umilmente ai piedi delle Graziose Maestà implorandone il perdono.

Allora s’alzava El Conde. Tutti ammutolivano. El Conde, guardando in alto, cominciava a parlare, a voce bassa e vibrata, e diceva tutto quel che aveva in cuore. Quando si risiedeva, gli altri restavano seri e muti. Nessuno accennava più alla supplica.

Cosimo ormai faceva parte della comunità e prendeva parte ai parlamenti. E là, con ingenuo fervore giovanile, spiegava le idee dei filosofi, e i torti dei Sovrani, e come gli Stati potevano esser retti secondo ragione e giustizia. Ma tra tutti, i soli che potevano dargli ascolto erano El Conde che per quanto vecchio s’arrovellava sempre alla ricerca d’un modo di capire e reagire, Ursula che aveva letto qualche libro, e un paio di ragazze un po’ più sveglie delle altre. Il resto della colonia erano teste di suola da piantarci dentro i chiodi.

Insomma, questo Conde, dài e dài, invece di star sempre a contemplare il paesaggio cominciò a volersi leggere dei libri. Rousseau gli riuscì un po’ ostico; Montesquieu invece gli piaceva: era già un passo. Gli altri hidalghi, niente, sebbene qualcuno di nascosto da Padre Sulpicio chiedesse a Cosimo in prestito la Pulzella per andarsi a leggere le pagine spinte. Così, col Conde che macinava nuove idee, le adunanze sulla quercia presero un’altra piega: ormai si parlava d’andare in Spagna a far la rivoluzione.



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