I soli delle Indipendenze by Ahmadou Kourouma

I soli delle Indipendenze by Ahmadou Kourouma

autore:Ahmadou Kourouma [Kourouma, Ahmadou]
La lingua: ita
Format: epub
editore: e-o
pubblicato: 2023-08-31T22:00:00+00:00


Non si apprezzano i vantaggi di un padre, di un padre,

Se non quando la casa del padre la si ritrova vuota.

Non ci si accorge di una madre, di una madre

Più preziosa dell’oro,

Se non quando la capanna materna la si ritrova vuota.

Allora si cammina, si cammina con regolarità

Nella notte del cuore e nell’ombra degli occhi

E ci si allontana per versare lacrime copiose e brucianti.

E subito dopo, in un cielo puro e tale da celebrare l’harmattan, si stagliò la cima dell’eriodendro di Togobala. Togobala, il villaggio natio! Gli stessi avvoltoi (che bastardi quelli che avevano soprannominato Fama “avvoltoio”!), sicuramente gli stessi avvoltoi di sempre, quelli della sua infanzia, si alzavano dall’eriodendro e con indolenza facevano un giro di ispezione al di sopra delle capanne. Buoi, capretti, donne con casseruole sulla testa, e poi arrivarono le capanne.

Invocando la grandezza dei propri antenati, Fama si stropicciò gli occhi per essere sicuro di non sbagliarsi. Del Togobala della sua infanzia, del Togobala che aveva nel cuore, non restava più neanche l’estremo fetore dell’ultima scorreggia. In vent’anni il mondo non è poi che fosse cambiato radicalmente. Eppure, ecco quel che era rimasto. Di quando in quando una o due capanne storte, vecchiotte, cotte dal sole, isolate come termitai in una pianura. Tra le rovine di quelle che erano state delle concessioni, si vedevano immondizie ed erbe brucate dalle bestie, bruciate dal fuoco e accarezzate dall’harmattan. Una banda di marmocchi usciti dalle capanne veniva verso il camioncino gridando “Mobili!”, vacillando su un paio di gambe sottili come steli di miglio e dondolando le pance impolverate, gonfie come piccole zucche. Fama pensò a tanti piccoli varani pieni. Finalmente un punto di riferimento! Fama riconobbe il baobab del mercato. Aveva sofferto; era decrepito anche lui; con il tronco cinereo e lacerato, lanciava rami nudi, lebbrosi, verso il cielo secco, un cielo in preda al sole dell’harmattan e ai voli degli avvoltoi, in cerca di carogne e delle feci degli abitanti che avevano fatto i loro bisogni dietro le capanne. Il camioncino si fermò.

«Benvenuto! Benvenuto, Fama!».

Abitanti di ogni età accorrevano, tutti famelici e magri, come tanti siluri di due stagioni fa, con la pelle rugosa e polverosa come gli insetti delle pareti, con gli occhi rossi e cisposi per la congiuntivite.

Con il passo leggero del suo totem-pantera, con gesti regali e saluti maestosi (peccato che il boubou fosse polveroso e stropicciato!), in testa a un corteo di gente e a un nugolo di bambini, Fama raggiunse il cortile degli antenati dumbuya. In quel momento risuonò un grido lacerante: il segnale dei pianti e delle lamentazioni per colui che doveva essere seppellito. Urlando come ossesse, tutte le donne si gettarono a terra e si voltolarono nella polvere. Il frastuono richiamò altre prefiche e altre lamentazioni, e si propagò a tutto il villaggio. I cani smisero di prendere al volo in bocca le mosche attirate dalle zecche delle loro orecchie e delle loro croste, e corsero ad abbaiare alle prefiche. Il baccano salì fino al cielo e gli avvoltoi volarono dal fogliame: le loro ombre vagarono sui tetti.



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