Processo alla Resistenza by Michela Ponzani

Processo alla Resistenza by Michela Ponzani

autore:Michela Ponzani [Ponzani, Michela]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2023-03-14T12:00:00+00:00


«Eccessi e violenze al fine di estorcere confessioni» (per indurre ex partigiani e militanti di sinistra a confessare «reati mai commessi») erano stati denunciati in Parlamento anche dal deputato Enzo Capalozza, avvocato e costituzionalista. Il fatto che le istruttorie durassero anni «dopo aver emesso l’ordine o il mandato di cattura» non significava forse che «il giudice [fosse] ancora alla ricerca di quegli indizi di colpevolezza per poter rinviare a giudizio, e che, invece, avrebbe dovuto avere al momento dell’emissione del mandato»?65. Perché tanta solerzia nel voler spedire un inquisito in carcere, quando nella maggior parte dei casi il fatto neppure sussisteva? Sembrava quasi che (nell’ottica di certa magistratura) il carcere fosse ancora concepito come un luogo per punire e mortificare, anziché per rieducare, come la Costituzione aveva previsto. E si citava il caso di quindici partigiani di Asti, accusati di rapina, che il giudice istruttore aveva assolto dopo cinque anni di carcerazione, non perché fosse stato riconosciuto il fatto di guerra (una requisizione disposta per esigenze belliche), ma perché il giudice si era accorto che il fatto non sussisteva. Di casi come questi l’Italia aveva riempito le carceri, ma in cella i detenuti antifascisti o gli ex partigiani erano in buona compagnia con i loro fratelli di ideali. Dal maggio 1949 all’agosto 1950 si erano avuti 2985 fermi, cinquecento feriti e contusi in scontri con le forze di polizia e 327 processi sostenuti da Solidarietà democratica, tutti per manifestazioni legate ai partigiani della pace, con ventottomila giornate complessive di carcere scontate, mentre millecinquecento erano le persone colpite per lotte del lavoro66.

Una specie di voce nel deserto era rimasta la proposta (n. 1150) avanzata alla Camera dei deputati nel marzo 1950 da Arrigo Boldrini (Pci) e da Leonetto Amadei (Psi), che se tramutata in legge avrebbe riconosciuto il Cvl come corpo militare regolare e organizzato, in modo da poter tutelare ufficialmente gli interessi e l’operato delle formazioni partigiane; e quindi evitare il perpetrarsi di processi ai danni di singoli patrioti, non riconosciuti alla stregua dei reparti organici delle forze armate. In compenso, il Parlamento italiano (su proposta del ministro di Grazia e giustizia, il liberale Giuseppe Grassi) si era dato da fare per approvare una legge sulla repressione delle attività neofasciste che nel Paese avevano rialzato prepotentemente la testa. Nel dicembre 1946, una lettera minatoria a firma di un fantomatico «Pattuglione Mussolini 105» aveva costretto i carabinieri di Rho (in provincia di Milano) a sgomberare la caserma, mentre le questure di Verona e Bergamo avevano rinvenuto nell’abitazione di alcuni ex fascisti numerose armi da fuoco e volantini delle Sam67. Attentati dinamitardi avevano preso di mira sezioni di partito, com’era accaduto a Modena dove una bomba era esplosa davanti alla federazione del Pci, rivendicata dalla «banda Pavone», organizzazione capeggiata da Vincenzo Poli, un ex sottufficiale del genio dei telegrafisti di Firenze che aveva aderito alla Rsi (e messo in piedi una sezione del Fronte dell’Uomo qualunque grazie ai finanziamenti di alcuni commercianti della città)68. Numerose rapine a mano armata e traffici illeciti



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