La scomparsa dell'identità by Alain De Benoist

La scomparsa dell'identità by Alain De Benoist

autore:Alain De Benoist [Benoist, Alain de]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788833374727
editore: Historica Edizioni
pubblicato: 2023-06-07T11:33:58+00:00


12.

Dagli «studi decoloniali»

al razzismo anti-bianchi

La comparsa di una corrente identitaria razzista, oggi nota come ideologia “indigenista” (o “decoloniale”) è un fatto nuovo nel panorama politico contemporaneo. La suddetta ideologia, rappresentata da una serie di individualità più o meno note (tra le tante ricordiamo Éric Fassin, Adèle Haenel, Virginie Despentes, Danièle Obono, Rokahaya Diallo, Geoffroy de Lagasnerie, Lilian Thuram, Pascal Blanchard, Édouard Louis, Maboula Soumahoro, ecc.), gruppi di pressione e associazioni (Partito Indigeno della Repubblica, Lega della Difesa Nera, Consiglio Rappresentativo delle Organizzazioni Nere in Francia, ecc.), gode del sostegno di alcuni media istituzionali e trova i suoi principali relatori nei dipartimenti di scienze sociali delle grandi università. È poco conosciuta dal gran pubblico, se non in modo aneddotico, attraverso polemiche stravaganti, denunce isteriche e affermazioni deliranti che accompagnano le sue manifestazioni e le sue prese di posizione. Proponiamo qui di farne un’analisi più rigorosa, descrivendone le origini, la genealogia, la situazione attuale, per poi vedere le conclusioni che se ne possono trarre.

Tutto è iniziato con due scuole di pensiero relativamente serie che serviranno come legittimazione accademica a tutto ciò che sarà poi rivendicato come tale: gli “studi “decoloniali”, nati a loro volta dagli studi subalterni, e gli “studi postcoloniali”, entrambi apparsi principalmente nel Terzo Mondo, e che poi sono stati più o meno confusi, ma senza mai diventare sinonimi. Queste due scuole di pensiero non sono teorie di grande portata, ma nemmeno trascurabili. Sarebbe sbagliato sottovalutare la loro importanza, così come lo sarebbe vederle soltanto come l’ultima incarnazione della “sinistra intellettuale”.

Entrambe presentano un corpus teorico composto principalmente da due parti: una critica rigorosa all’universalismo e, più specificamente, a una ragione occidentale impegnata da secoli nel diffondere nel mondo idee o valori “universali”, che in definitiva non sono nient’altro che maschere di un etnocentrismo che non osa pronunciare il suo nome (l’ideologia del progresso e l’ideologia dei diritti umani sono due esempi caratteristici); e dall’altra, una denuncia sistematica di quella che uno dei principali teorici della seconda scuola, Aníbal Quijano, ha chiamato la “colonialità” del potere”174, vale a dire il mantenimento di una forma perversa di neocolonialismo (politico, economico e finanziario) nei Paesi del terzo mondo, diventati teoricamente indipendenti in seguito alla decolonizzazione ma che, de facto, rimangono dominati dalle potenze occidentali che rivendicano i cosiddetti valori “universali” sopramenzionati (il mito dello “sviluppo”, la “divisione internazionale del lavoro”, il “buon governo”, ecc.).

Gli studi subalterni compaiono in India negli anni Ottanta, in particolare con il lavoro di Ranajit Guha, che è una sorta di leader in questo campo. La scuola riunisce principalmente ex intellettuali marxisti indiani delusi dall’evoluzione dell’India postcoloniale: Dipesh Chakrabarty, Gyan Prakash, Partha Chatterjee, Gayatri Chakravorty Spivay, Ashis Nandy, ecc175. Come gli studi decoloniali, partono dalla constatazione che la decolonizzazione non è bastata a risolvere la “questione coloniale” e che anche le indipendenze più duramente acquisite erano spesso solo una questione di nome. La divisione internazionale del lavoro è messa particolarmente in discussione, e non senza ragione: i Paesi produttori di materie prime sono invitati a specializzarsi, a scapito delle



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