Il coltello che mi ha ucciso by Anthony McGowan

Il coltello che mi ha ucciso by Anthony McGowan

autore:Anthony McGowan [McGowan, Anthony]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Rizzoli
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Anche se guardo il coltello e la mano che regge il coltello, mi accorgo che dietro di me c’è qualcosa. Un’ombra. Una presenza. Ma è morbida e sfocata e non può farmi del male. Così la ignoro. Deve concertarsi tutto su ciò che ho davanti, e la mente deve rimanere focalizzata sul coltello, sul ragazzo.

Capitolo 16

Lo vidi succedere un paio di giorni dopo.

Le cose stavano andando bene. Ero stato con Shane e la sua banda. Per la prima volta da quando andavo in quella scuola mi ero sentito parte di qualcosa. Non che fossi un membro a tutti gli effetti della loro banda, e non ero diventato un freak, non direi. Però ero cambiato. Avevo un’aria un po’ diversa e pensavo a delle cose a cui non avevo mai pensato prima. Sul mondo e su cosa non andava in esso. E non sto parlando della piccola parte di mondo dove stavo io, ma del mondo in generale. Quando camminavo, non tenevo sempre la testa bassa. Non avevo ancora il coraggio di parlare tanto a Maddy, ma non mi sembrava che le dispiacesse se le stavo accanto in cortile o se mi sedevo vicino a lei a pranzo.

Non era tutto rose e fiori, intendiamoci. Kirk non mi poteva soffrire, e molto spesso tirava fuori apposta dei discorsi che io non sarei mai riuscito a seguire. Ma le cose andavano così solo con Kirk. E sapevo per esperienza personale che essere presi in giro era un casino di volte meglio che essere presi a pugni.

Ad ogni modo, quel mercoledì pomeriggio ero nel laboratorio di scienze al terzo piano. I lavandini davano sul retro della scuola. Da lì, in successione, si vedeva un quadratino di cortile, poi il grande rettangolo del campo da gioco, lo steccato e i cancelli della scuola, e infine un edificio che una volta era un circolo, ma che adesso non è più un bel niente, solo un guscio vuoto, come un dente marcio. C’erano sempre dei graffiti sui muri del circolo. Parti del corpo, nomi, parolacce, nomi di squadre di calcio... roba del genere. Una volta avevo pensato di farlo anch’io. Lasciare un segno sul muro, voglio dire. Avevo comprato una bomboletta di vernice spray bianca e, appena si era fatto buio, ero sgattaiolato fuori di casa. Quando però ero arrivato al circolo e mi ero ritrovato davanti il muro, non mi era venuto in mente niente da scrivere. Avevo agitato un po’ la bomboletta, che aveva fatto quello strano rumore che fanno le bombolette, e poi me ne ero rimasto lì, a non far niente. Non avevo un soprannome, e non c’era una ragazza che mi piaceva, non ancora. Non volevo scrivere il nome di una stupida squadra di calcio, e non volevo copiare le cose che qualcuno aveva già scribacchiato sul muro, le parolacce e i disegni osceni. Ero vuoto come il circolo. Perciò, alla fine, avevo lasciato la bomboletta nel campo degli zingari e me ne ero tornato a casa.

In quel momento, però, mentre guardavo



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