Il corpo della lingua by Giorgio Agamben

Il corpo della lingua by Giorgio Agamben

autore:Giorgio Agamben [Agamben, Giorgio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2024-02-08T12:00:00+00:00


Questa proprietà, l’estenduë, non è un accidente della materia, ma «la sua vera forma o essenza» (ibid.). La hyle di Aristotele, potenza informe di assumere tutte le forme, e la chora di Platone, medio fra l’intelligibile e il sensibile, cosí difficile da pensare che ci pare quasi di percepirla in sogno con un ragionamento bastardo, sono ridotte – con un gesto drastico quanto arbitrario – alla proprietà di occupare uno spazio. Per questo la materia è la cosa «piú semplice e facile da conoscere»; per questo essere o avere un corpo significa senza troppe complicazioni: essere esteso.

«Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe. Non dei filosofi e dei dotti» si legge nel memoriale che Pascal portava sempre con sé. Descartes, secondo Pascal, «in tutta la sua filosofia avrebbe voluto fare a meno di Dio, ma non ha potuto evitare di fargli dare un colpetto al mondo per metterlo in moto; dopo di che non sa piú che farne di Dio». Il dio dei filosofi non è il Dio dei cristiani, che «non è l’autore delle verità geometriche e dell’ordine degli elementi», ma un Dio «di amore e di consolazione, un Dio che riempie l’anima e il cuore di cui Egli s’è impossessato, è un Dio che fa internamente sentire a ognuno la propria miseria e la Sua misericordia infinita, che si unisce con l’intimo della loro anima, che la inonda di umiltà, di gioia, di confidenza, di amore, che li rende incapaci d’avere altro fine che Lui stesso». Nello stesso senso Heidegger può scrivere che a questo Dio «non si possono né rivolgere preghiere né offrire sacrifici. Davanti alla causa sui l’uomo non può inginocchiarsi con reverenza né far musica o danzare» (Heidegger, p. 77). Quello che Pascal e Heidegger dicono del dio dei filosofi si potrebbe dire del corpo dei filosofi, che non è un corpo vivo, ma una «distesa» che occupa un certo spazio geometrico e non si distingue in nulla da «una statua o macchina di terra, che Dio forma per renderla il piú possibile simile a noi» (Descartes 1963, p. 379).



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