Il danno scolastico by Paola Mastrocola & Luca Ricolfi

Il danno scolastico by Paola Mastrocola & Luca Ricolfi

autore:Paola Mastrocola & Luca Ricolfi [Mastrocola, Paola & Ricolfi, Luca]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2021-10-10T22:00:00+00:00


7. Primi segnali dal disastro

Agli esami di maturità c’era la commissione esterna, i professori venivano tutti da fuori, spesso dal Sud. C’era solo uno degli insegnanti della classe, il cosiddetto membro interno, che teneva un po’ le nostre parti e cercava di aiutarci, nei limiti del lecito. Era il 1975. All’orale non si portavano più tutte le materie, con i programmi di tutti e tre gli anni del liceo. Si portavano solo due materie, e solo i programmi dell’ultimo anno: una materia scelta dal candidato e l’altra scelta dalla commissione. Sulla carta era così, ma poi le cose andavano in un altro modo: ognuno di noi confidava al professore che faceva da membro interno qual era la seconda materia che avrebbe voluto portare e lui s’industriava perché la commissione gliela assegnasse. Mai capito come faceva, ma in genere, nove volte su dieci ci riusciva. Così, di fatto, studiavamo solo due materie, per l’esame. Io scelsi italiano e chiesi, e ottenni, greco. Nel dubbio di non ottenere greco, studiai anche latino, per precauzione.

Niente di comparabile con gli esami di maturità di un tempo: il mio liceo si era già abbassato. Era, la mia, già una scuola personalizzata, in qualche modo su misura del singolo, proprio come desideriamo che sia oggi. Sceglievamo noi cosa studiare, in base alle nostre inclinazioni. Mi sembrava un sogno eliminare le materie a me più ostiche, o quelle che avevo studiato meno, o che gli insegnanti si erano dimenticati di insegnarmi.

Sì, capitava anche questo, nel liceo degli anni settanta: che alcuni insegnanti non facessero mai lezione. Facevano politica, in classe. Aprivano il dibattito sui fatti di attualità, tenevano concioni, istigavano a far sciopero, a manifestare, a scendere in piazza. Oppure c’erano insegnanti che non sapevano insegnare, non tenevano la disciplina, non erano capaci di spiegare, di far lezione (fenomeno meravigliosamente atemporale, non collocabile solo ai miei tempi...). Spesso erano “casi umani”, ben noti a preside, colleghi e famiglie. Non c’era niente da fare, li si doveva tollerare. Così, per varie ragioni, poteva succedere che di alcune materie, anche due o tre, non si facesse niente per tre anni. L’intero triennio. E che si uscisse, di quelle materie, completamente ignoranti per sempre.

Anche l’università era già meravigliosamente degradata: c’erano la liberalizzazione del piano di studi, e gli esami di gruppo.

Si formavano dei gruppi di lavoro, tra di noi studenti che seguivamo lo stesso corso. Ci veniva assegnato un argomento, ci trovavamo per discuterne, e poi ognuno scriveva un pezzo. C’era sempre uno che aveva l’idea portante, originale, su cui far girare i pezzi degli altri, così che alla fine risultasse una relazione unica e compatta. Uno solo che aveva avuto l’idea. (Perché sì, ci vuole sempre un’idea, in una ricerca, ed è difficile avere un’idea in dieci: le idee sono solitarie e individuali. Ma questa è una verità che non ci piace per niente e che non accetteremo mai, meno che mai oggi, che si sta approntando una scuola fondata appunto sul lavoro di gruppo.) Poi si andava all’esame



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