Il mare color veleno by Fabio Lo Verso

Il mare color veleno by Fabio Lo Verso

autore:Fabio Lo Verso
La lingua: ita
Format: epub
editore: Fazi Editore
pubblicato: 2023-05-08T18:26:23+00:00


Quelle catastrofi evitate per miracolo

L’esultanza trionfante dei politici è però recepita con apprensione dagli ambientalisti. «Il territorio è saturo», ribattono con ansia, «nuove attività produttive farebbero esplodere l’attuale super inquinamento». Innalzare lo spauracchio della catastrofe non genera mai comprensione, molto spesso piuttosto irritazione. Ma per gli attivisti vale più di tutto come imperativo a voltarsi indietro e guardare agli incidenti industriali, a quelle deflagrazioni e fughe di emissioni tossiche che hanno scosso profondamente la gente. Eventi che hanno ogniqualvolta riacceso un faro puntato su un territorio già allo spasmo. In mezzo secolo ne sono accaduti una ventina, la maggior parte, per pura fortuna, nei momenti di inattività attorno alle fabbriche.

Erano le ore 23,25 del 19 maggio 1985, al volgere di una lieta domenica, quando presso Augusta esplosero due serbatoi stracolmi di etilene, un gas altamente infiammabile. L’onda d’urto fu avvertita a cinquanta chilometri dal luogo dell’incidente, fino al centro di Catania. Le città del quadrilatero si sono svuotate in un paio d’ore, la gente fuggiva seguendo un istintivo piano di evacuazione. Seguì una notte insonne. Si narra che il rogo fosse addirittura visibi­le da Taormina, a cento chilometri di distanza, mentre le fiamme ipnotizzavano i fuggitivi. «Correvamo senza scollare gli occhi dalle lingue di fuoco che si innalzavano alle nostre spalle», ricorda un testimone all’epoca adolescente. Il malcapitato abbandonò il motorino Gilera, un regalo dei genitori al quale teneva «più di tutto», e si avventu­rò nelle campagne con il timore di essere raggiunto dalle fiamme. «Se fosse accaduto, mettiamo, nell’ora di punta di un giorno feriale qualunque», fa presente don Prisutto, «ci sarebbero state decine, se non centinaia di vittime». Il bilancio fu invece fortunatamente “miracoloso”, giudica il prete, che di interventi divini se ne intende: sei operai subirono ustioni superficiali, una donna di sessant’anni, scossa dalla paura, morì d’infarto nella sua auto.

Forse tra i ventenni di oggi si troverebbero pochi individui memori di un altro spaventoso incendio. Ma erano nati quando un cupo pennacchio di fumo si involò sopra le case di Priolo. Era il 30 aprile 2006, al tramonto di una tranquilla domenica di primavera. La fitta coltre di fumo, nera come l’inferno, annunciava un grave incendio alla raffineria nord dell’ERG, oggi Lukoil. Gli abitanti, presi dal panico, si riversarono nelle strade. Alte colonne di polvere si diressero verso il vicino borgo di Melilli, rammenta la biologa Mara Nicotra: «Sono uscita di casa in fretta e furia per andare a prendere i miei genitori in chiesa, spaventata a morte ho guidato la macchina nelle campagne dell’entroterra». Il collegamento ferroviario Siracusa-Catania fu interrotto nella stazione di Priolo-Melilli, che si trova in mezzo agli impianti. Furono riportate solo ferite minori fra gli operai del turno domenicale. La fortuna volle che, quel giorno, non ci fosse tanta gente nei pressi della raffineria.

Storico sindaco di Priolo, Enzo Radino raccontò l’accaduto alle telecamere. «Per due giorni e una notte, le tubazioni di un impianto non hanno smesso di bruciare», dichiarò con tono allarmato. Poi fece notare, tanto per dare un’idea dell’anomala quotidianità dei priolesi, che «la fabbrica si trovava a poco più di un chilometro» dalla sua città.



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