Il Principe fulvo by Salvatore Silvano Nigro;

Il Principe fulvo by Salvatore Silvano Nigro;

autore:Salvatore Silvano Nigro; [Nigro;, Salvatore Silvano]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788838926587
editore: edigita
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


L’Ercole Farnese

Qui si vive in pieno seicento, col

barocchismo, le raffinatezze e

l’ignoranza di allora.

Ippolito Nievo, lettera alla madre Adele Marin, Palermo, 24 giugno 1860

La rivoluzione borghese saliva le scale del palazzo di Donnafugata sugli scombinati stivaletti con bottoni e dentro il frac di pessima sartoria, disconcio quanto il cilindro in testa al cafone in un verso di Eliot, del sindaco Calogero Sedàra. Il cravattino bianco e la coda forcuta, disegnata in aria dalle falde nere, facevano di Sedàra una rondine: l’incarnazione della progressiva rapina delle proprietà terriere del principe di Salina che, come rondini migratrici, andavano prendendo il volo verso approdi sedareschi. Del «fatale» arrivo venne dato ridacchiante annuncio al Principe. Al quale però «la notizia fece un effetto maggiore del bollettino dello sbarco a Marsala». L’enormità inavvertita della situazione non riguardava la foggia del vestito dell’ospite, ma l’evidente inattualità del Principe, ormai, sorpreso, mortificato e ferito, nella sua aristocratica noncuranza e nel suo superiore bon ton, dal suo stesso galateo di classe inopinatamente impugnato e volgarmente applicato da uno sciacalletto di sindaco. Don Fabrizio aveva invitato a pranzo gli amici umili e le autorità civili e religiose di Donnafugata. E aveva avuto il garbo di non mettersi «in abito da sera per non imbarazzare gli ospiti che, evidentemente non ne possedevano». Sedàra non aveva avuto ritegno. Era entrato impettito in società, con il suo sbilenco vestito da cerimonia, e nel rispetto di una per lui esotica etichetta. Il Principe aveva dovuto incassare il colpo. Si era visto costretto «a ricevere, vestito da pomeriggio, un invitato che si presentava, a buon diritto, in abito da sera».

Con Sedàra, con questo «mucchietto di astuzia, di abiti mal tagliati, di oro e d’ignoranza», il Principe dovrà abbassarsi a regolarizzare il «baratto» tra il blasone di Tancredi, che non aveva portafoglio, e i titoli finanziari di Angelica che aveva terre al sole. Sarà una questione privata, ma nel contesto di una generale baratteria storica. Nel romanzo-poema Le vergini delle rocce di d’Annunzio, Lampedusa aveva letto: «il naviglio dei Mille salpò da Quarto sol per ottenere che l’arte del baratto fosse protetta dallo Stato».

La dote di Angelica era copiosa. Quella di Tancredi era quasi inesistente. Del patrimonio disperso del nipote, il Principe era riuscito a salvare le quattro pietre di un rudere. Le farà pesare nel contratto di matrimonio: «È una bella villa. La scala è disegnata da Marvuglia, i saloni erano stati decorati dal Serenario; ma, per ora, l’ambiente in miglior stato può appena servire da stalla per le capre». Sedàra aprirà le braccia. Poi butterà sul tappeto venti sacchetti sonanti di monete. E concluderà l’affare: «con questo si possono rifare tutte le scale di Marruggia e tutti i soffitti di Sorcionero che esistono al mondo. Angelica dev’essere alloggiata bene». Lo smottamento di lingua e di classe sarà rovinoso. Nella faglia sprofonderà un frescante di tendenza rocaille; e con lui, l’architetto che aveva promosso il trapasso a Palermo dal barocco, e dal rococò, allo stile neoclassico che era stato fatto proprio dalla borghesia in ascesa.



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