Io sono l’uomo nero by Ilaria Amenta

Io sono l’uomo nero by Ilaria Amenta

autore:Ilaria Amenta [Amenta Ilaria]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
editore: Rai Libri
pubblicato: 2023-05-03T00:00:00+00:00


In galera

A Regina Coeli finirono in cinque: Izzo, Guido, Maggio, Parboni Arquati e Sonnino. Li misero al primo braccio, quello destinato ai nuovi arrivati. Si trattava di un braccio davvero orribile: quattro piani ripidissimi, tutto sporco, pieno di detenuti sdentati e dalle facce bruttissime, celle nelle quali venivano stipati dai sei agli otto prigionieri nella massima promiscuità.

Maggio non c’entrava nulla e fu scarcerato e prosciolto dopo poche settimane.

Gli altri quattro furono trasferiti al carcere di Latina. Si trattava di un bel carceretto dove si stava benino: circa duecento detenuti, le celle erano aperte dalla mattina alla sera, avevamo la possibilità di fare la spesa e vi era una vasta scelta di prodotti; volendo, era ammesso perfino cucinare nella cucina centrale, quella destinata alla preparazione del vitto per tutti i detenuti. Oltre ai delinquentelli locali, vi erano parecchi barabba romani e napoletani, tutto sommato trovammo un ambiente allegro e giovanile.

Dopo pochi mesi, Izzo e Guido fecero scagionare anche Parboni Arquati e Sonnino, accusati di favoreggiamento.

Nel 1977, appena trascorso al gabbio il secondo Natale, Izzo e Guido tentarono l’evasione: quella sera, quando le guardie entrarono nella nostra cella, non ne uscirono più perché si trovarono con me che li minacciavo con una pistola e Gianni con dei coltelli fatti artigianalmente. Io presi il brigadiere e gli dissi che dovevamo evadere, di non fare lo stronzo. Era così impaurito che mi disse: “Va bene, farò tutto quello che mi dici, ma non guardarmi con quegli occhi!”. Facendoci scudo con le guardie superammo i tre cancelli, quello della sezione, della cucina, del corridoio degli uffici, prendendo ogni volta il secondino addetto all’apertura. Arrivammo così all’ultimo corridoio prima della portineria e quindi della libertà. Fuori ad attenderci c’erano due auto e quattro “fratellini” armati di mitra, bombe, pistole, lanciarazzi. Il piano era di scappare verso sud e rifugiarci nella villetta di Gaeta di uno di noi. Pregustavamo già la gioia di essere di nuovo tutti insieme, noi drughi pariolini di nuovo in grado di praticare l’ultraviolenza. Ma le cose non andarono secondo i nostri piani.

Izzo e Guido si asserragliarono con un agente come ostaggio nell’autorimessa del penitenziario per tre ore. Ma il Procuratore della Repubblica li persuase a desistere con la promessa di un trasferimento.

Io fui trasferito a Frosinone, Gianni a Cassino. Un mese dopo fummo processati per direttissima e condannati a sei anni. Alcune mie scelte e alcune mie decisioni nacquero anche da problematiche caratteriali. Sicuramente per varie ragioni interne, a partire dal mio narcisismo maligno, all’eccessiva ipersensibilità, la smisurata empatia per i fratelli, l’incapacità di girarmi dall’altra parte in presenza di qualcosa che percepivo come ingiustizia. Queste caratteristiche si trasformavano in un’attrazione fatale per la violenza, che mi faceva buttare a capofitto in situazioni pericolose, senza alcun freno e senza mai calcolare le conseguenze.



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