La cultura si mangia! by Bruno Arpaia
autore:Bruno Arpaia [Arpaia, Bruno]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788823504905
editore: Guanda
pubblicato: 2013-04-04T04:00:00+00:00
Nei capitoli precedenti, abbiamo evidenziato come negli ultimi vent’anni molti Paesi abbiano capito che, entrando nella «società della conoscenza», fosse iniziata una nuova corsa. Così qualcuno ha messo più benzina nel serbatoio, qualche altro ha cambiato il motore della sua auto, altri addirittura hanno comprato un’auto nuova fiammante.
L’Italia invece non ha fatto – non sta facendo – nulla di tutto questo. Il nostro Paese ha assistito e tuttora assiste inerte, senza reagire, come intontito, ai vent’anni che «hanno cambiato il mondo» e hanno reso obsoleto, non più sostenibile, il nostro modello di «sviluppo senza ricerca», fondato sulla produzione di beni a bassa e media tecnologia, che pure in precedenza ci aveva regalato l’ingresso nel club delle economie che contano. Il punto però è che, nei Paesi che sono riusciti a cambiare, attraverso la cultura e la conoscenza, la propria specializzazione produttiva, è sempre stato determinante il ruolo dello Stato. Non è un postulato ideologico. Semmai è vero il contrario. La caduta del muro di Berlino e il crollo dell’Unione Sovietica hanno consentito che divenisse egemone nel mondo l’ideologia del «mercato senza regole», dello «Stato leggero», dell’economia non come sviluppo di beni comuni ma come consumo di beni privati. Ma oltre ai danni sociali, con una crescita inaccettabile della disuguaglianza, l’ideologia liberista produce anche danni economici. Deprime la domanda, per esempio. E impedisce l’innovazione.
Lo Stato ha, infatti, un ruolo primario e insostituibile nel promuovere il cambiamento della specializzazione produttiva di un sistema Paese, tanto più nella transizione da un sistema produttivo a bassa tecnologia a un sistema fondato sulla produzione di beni ad alto contenuto di conoscenza. Ancora una volta, è la storia a dimostrarlo (ma, ancora una volta, bisognerebbe conoscerla...) È lo Stato, infatti, che nell’ultimo secolo non solo ha guidato, ma ha determinato il cambiamento della specializzazione produttiva fondato sulla conoscenza in tutti i maggiori Paesi del mondo: non solo in quelli a economia centralmente pianificata, come l’Urss, ma anche negli Stati Uniti, in ogni sua fase dopo la Seconda guerra mondiale, o più di recente in Germania, dopo l’unificazione. È accaduto anche nei Paesi del Nord Europa, così come in Giappone e in tutte le economie cosiddette «emergenti».
Partiamo da queste ultime. Prendiamo, per esempio, la Corea del Sud, l’India e la Cina. Hanno tradizioni, strutture sociali, regimi politici molto diversi, ma il loro impetuoso sviluppo è sempre il frutto di un’azione forte, di un decisivo intervento pubblico. In Corea del Sud è lo Stato che ha organizzato lo sviluppo industriale, lottizzandolo e affidandolo alle chaebol, le grandi conglomerate (come la Samsung, la Hyundai, la Lg) destinate a diventare altrettante multinazionali. Ed è lo Stato che ha favorito gli investimenti privati in ricerca e sviluppo, puntando a fare della Corea un Paese molto competitivo nel settore dell’alta tecnologia. Inoltre, come afferma anche il citato rapporto di Unioncamere e Symbola, «la Corea del Sud, un Paese a lungo privato della propria identità culturale a causa di una lunga serie di occupazioni straniere, e soprattutto dell’ultima occupazione giapponese, è oggi oggetto
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