La danza sul vuoto by Vittorio Viviani

La danza sul vuoto by Vittorio Viviani

autore:Vittorio Viviani [Viviani, Vittorio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Neri Pozza


15

«Fate presto! Fate presto!»

Il professore lasciò rapidamente i ricordi che lo avevano accompagnato nella veglia, in quell’assorto declinar della notte, e porse l’orecchio alla voce della moglie, che s’irritava, per casa; sempre piú padrona. Giorno alto, e ancora nessuno pronto a partire per Curti: sperando in un viaggio tranquillo e senz’allarmi, circa due ore di macchina; bisognava davvero sbrigarsi. Quanto tempo per tirar dal letto le bambine! E scuotere Luciano che, quella mattina, avrebbe dato l’anima al diavolo, pur di restare accucciato sotto le coltri. La madre aveva dovuto fare ogni sforzo per addolcirne la torbida irrequietezza d’adolescente; il piglio sgraziato da «gufino», con tanto di stivaloni e d’orbace. Benedetto ragazzo! Davanti a lui, nemmeno al professore riusciva facile, come prima, tenersi in bilico, tra una prudenza, non troppo accentuata da parer debolezza, e uno scatto di nervi, non cosí acceso da smascherare, pericolosamente, una mentalità di tempi lontani. Un equilibrista che, una volta sul filo, alla presenza di una folla rumorosa e attenta, è costretto a dissimulare la sua preoccupazione di cadere e il suo desiderio di tornare indietro, per rinunziare in tempo all’esercizio, mentre s’accrescono le possibilità ch’egli si rompa l’osso del collo. Quel proseguire equivaleva per Donati darsi un contegno, accettare la responsabilità di una risposta che Luciano, dopo averla provocata con ogni mezzo, riusciva a strappargli dalle labbra tremanti. Una confessione peccaminosa; nel cui contesto, sconnesso e balbettante, la parola libertà faceva capolino: come un coniglio, gli occhi rossi e vivi, da un cespuglio. Una volta ottenuta quella risposta, il ragazzo la riponeva in silenzio e, appena fuori casa, la traeva alla luce della sua solitudine, per rileggerla, mentalmente, come una lettera; scomporla, frase per frase, analisi logica; stillarne da ogni parola un veleno sconosciuto e farsene sangue: quasi che solo in quei momenti, per la prima volta, egli potesse provare la malsana gioia d’un distacco, insistito e convinto, dalla consueta autorità paterna. La stessa gioia che, dandogli un senso d’autonomia, lo vincolava a una nuova schiavitú: quella del ribelle solitario.

C’era ancora un bel sole, talvolta, a Napoli, in quella primavera di disfatta. I pomeriggi parevano lunghi senza tramonto. Luciano volentieri indugiava in via Caracciolo; s’eccitava ai vividi miraggi d’una luce liquida, che lo spingevano ad affacciarsi sul mare. L’onda, a poco a poco, portava alla deriva quei riflessi e, lentamente, come in silenzio, li spegneva. Era il segno del crepuscolo; e il ragazzo si sentiva portato nel folto della Villa Comunale: come se dagli alberi aggrovigliati e fitti, dai prati scuri, riarsi dai rifiuti, dovesse venirgli un reagente morale di chiarezza furiosa, del quale avvertiva gli spasimi premergli il ventre. Il conato di vomito, che, con forza, istintivamente, soffocava; e, intanto, una nuova collera gli rimaneva nello stomaco, glielo stringeva in un pugno, quasi glielo volesse distruggere. Ancora uno sforzo; ed egli se la sentiva covare sorda, con un brontolio chiuso e felino, che gli saliva al petto, gli scendeva alle gambe. Un passo dopo l’altro; rievocava ad una ad una le parole dettegli da suo padre, per calpestarle, ora, sulle foglie, cadute lungo il cammino.



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