La fine della storia by Luis Sepúlveda

La fine della storia by Luis Sepúlveda

autore:Luis Sepúlveda [Sepúlveda, Luis]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788823517691
Google: C9kcDQAAQBAJ
editore: Guanda
pubblicato: 2016-11-01T23:00:00+00:00


Ignorando l’ordine, diedi un’occhiata rapida ma accurata ai tre corpi e mentre cercavo tracce di vernice sui polpastrelli delle dita, un semplice trucco per non lasciare impronte, scoprii che tutti avevano cicatrici identiche alla mano destra. Il colore rosato diceva che si trattava di ferite recenti, un segno di riconoscimento, di appartenenza, ma a cosa o a chi?

Slava ripeté l’ordine e uno dei suoi uomini mi spinse via.

Uscimmo. Gli uomini di Slava chiusero la porta e fissarono con una catena e un lucchetto la recinzione abbattuta dai fuggitivi. Il giorno dopo il caldo di Santiago si sarebbe occupato di mandare un messaggio fetido che avrebbe permesso di scoprire il massacro.

«Fra due ore chiami Kramer» disse Slava come unico saluto.

Parcheggiai l’auto vicino a plaza Ñuñoa e andai a piedi fino a Las Lanzas. Il vecchio casermone giallo era rimasto come ai tempi in cui ero studente, ma i ragazzi seduti fuori erano diversi da quelli di allora. Non si vedevano hippie fra loro, sui tavoli non c’erano libri di Sartre o Frantz Fanon e non si respirava l’aria di cospirazione dell’epoca. Scelsi uno dei tavoli in fondo e dissi che prima di mangiare volevo un Jack Daniel’s doppio con ghiaccio.

Che cosa era successo dentro la casa? L’arrivo delle pizze aveva sicuramente scatenato un’accesa discussione sulla missione che dovevano svolgere in Cile e sul fatto che il loro nascondiglio era stato scoperto, ma perché ammazzarli? I russi si erano lasciati prendere dal panico? Fisicamente i tre morti, più giovani di Espinoza e Salamendi, avevano un’aria temprata, non sembravano tipi che cedono alla prima difficoltà.

Quei cinque uomini erano uniti solamente dalla loro missione o li legava la profonda fratellanza di chi rischia la pelle per qualcosa? Una volta, in Nicaragua, avevo sentito una guerrigliera dire che la prova morale più dura per un combattente era dover ammazzare un compagno, non per errore o per vigliaccheria, ma per preservare la sua integrità, per amore. Non le credetti finché un mese dopo, durante l’offensiva guerrigliera su Masaya, la mia colonna cadde in un’imboscata della Guardia Nacional di Somoza e una granata portò via di netto una gamba a un compagno. Schivando le pallottole e le cannonate che sollevavano tonnellate di terra cercammo di soccorrerlo, gli applicammo un laccio emostatico alla coscia per evitare che si dissanguasse mentre gli ufficiali della guerriglia continuavano a ripetere l’ordine di ritirarsi, di abbandonare la zona prima di morire tutti.

In mezzo alla sparatoria io e Julio García, un guerrigliero cileno che chiamavamo il Siete perché gli mancavano tre dita a una mano, trascinammo a fatica il nostro compagno in un campo di mais e lui allora ci disse la frase più atroce, ci chiese la cosa più terribile:

«Sparatemi, compagni. Sono un ufficiale e so quel che mi aspetta. Sparatemi, compagni, e andatevene». Dalla nostra posizione potevamo già vedere i caschi della Guardia Nacional e non c’era quasi più tempo per scappare. Sapevamo bene che trattamento riservavano le truppe di Somoza ai prigionieri, specialmente se erano capi guerriglieri. Li tenevano in



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