La fine di Roma by Unknown

La fine di Roma by Unknown

autore:Unknown
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2022-07-26T12:00:00+00:00


Capitolo undicesimo

La memoria di Adriano

La memoria di Adriano è largamente influenzata dal capolavoro di Marguerite Yourcenar Memorie di Adriano. Romanzo di grande e piacevole lettura, che descrive l’imperatore con sguardo quasi innamorato, trascurando a volte i suoi aspetti discutibili, compresi gli errori, le incertezze e le crudeltà verso il mondo e la cultura giudaici, cristiani compresi. Nemmeno per un uomo sostanzialmente saggio come lui fu facile trovare la giusta misura.

Quando morí, nel 138, aveva «62 anni, 5 mesi, 17 giorni», si calcola nella Historia Augusta. Si lasciava dietro una fama controversa ma lasciava soprattutto una serie di «memorie», queste sí grandiose, che, a Roma, ne evocano la figura: il Tempio in piazza di Pietra (oggi sede della Camera di Commercio), il Mausoleo sul Lungotevere, meglio noto come Castel Sant’Angelo, il Pantheon di cui ho già parlato, un piccolo misterioso monumento, del quale piú avanti parlerò. Ma soprattutto il suo lascito piú completo e potremmo dire eloquente: la villa di Tivoli. Definirla villa – nel senso corrente del termine – è un’approssimazione per difetto, la proprietà ha un’estensione di oltre 120 ettari, è un universum con giochi incrociati delle pietre e delle acque, degli edifici che s’alternano a spazi boschivi e agresti, degli ambulacri e dei tempietti. Villa Adriana piú che essere una villa rispecchia in realtà una visione del mondo.

Anche la Domus Aurea di Nerone racchiudeva una visione del mondo. Ancora piú vasta per estensione, circa 200 ettari, stava a Nerone come la villa tiburtina sta ad Adriano. Infatti, le differenze tra l’una e l’altra dimora descrivono due imperatori molto diversi – Nerone, ultimo della dinastia Giulio-Claudia, Adriano terzo della illuminata «dinastia» degli imperatori adottivi dopo Nerva e Traiano.

La Domus Aurea irradiava sfarzo e dismisura, era gremita di statue colossali, di edifici smisurati, arricchita da un lago le cui rive erano popolate da fiere catturate in Africa e in Asia, alcuni ambienti interni avevano pareti mobili che davano agli occupanti la sensazione di seguire il corso del sole nel trascorrere delle ore.

Giochi d’acqua e laghetti c’erano (e ci sono) anche a Tivoli. Le rive però non sono popolate da fiere ma da statue; non mancano alcuni fantasiosi zampilli alternati però alla frusciante eleganza di sottili velature liquide che scivolano dall’alto sui marmi delle pareti accrescendone la lucentezza, rendendo mobile la fissità delle pietre, animando l’inanimato, imprimendo una vibrazione vitale all’azzurra pasta vitrea dei mosaici. Allo sfarzo sfacciato di Nerone, Adriano contrappone una piú armoniosa suddivisione degli spazi. Nerone concepisce la Domus come un segno del suo dominio, per Adriano, invece, vuoti e pieni, pietre e piante, acqua e marmo diventano un’intercapedine tra il mondo di fuori e il mondo della sua riflessione e del suo piacere.

Questo mondo si divide in un sopra e un sotto. Sopra edifici, prati, boschetti, porticati, acque – sotto, un dedalo di gallerie lungo le quali s’affannavano schiavi, servitori, intendenti, incaricati degli innumerevoli servizi necessari alla vita della corte: la fornitura e il trasporto degli alimenti per centinaia di persone; immense quantità di legname per riscaldare gli ambienti e l’acqua delle terme.



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