La leggenda dei monti naviganti by Paolo Rumiz

La leggenda dei monti naviganti by Paolo Rumiz

autore:Paolo Rumiz
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 978-88-07-01720-9
editore: Feltrinelli
pubblicato: 2006-12-31T16:00:00+00:00


Il rettilineo non accorcia un bel niente

È un attimo. Come infilo la chiavetta a forma di chiodo nella toppa dell'accensione, la Calabria diventa lontana come la Patagonia. E l'Aspromonte, capolinea del viaggio, si trasforma in un infuocato purgatorio, perso nei miasmi della distanza. Ce la farò? Non accendo nemmeno il motore. Guardo le spiagge roventi della Riviera di Ponente, le prime luci dei ristoranti, le donne tirreniche, le palme, le agavi, e mi chiedo come ho fatto a cacciarmi in un guaio simile. Fare gli Appennini per le strade minori è già una follia. Gli Appennini non finiscono mai. Ma farli con una Topolino del 1953 è un delirio.

È la sera della vigilia - domani si sale al Grande Inizio, Cadibona - e la capretta meccanica è appena arrivata nel parcheggio di un hotel insieme al proprietario, un bolognese simpatico con una barba corta da sottufficiale di cavalleria; uno che all'auto un po' ci somiglia. Si chiama Roberto Righi e mi guarda con invidia. Vorrebbe partire anche lui, ma non ha tempo abbastanza, il lavoro non glielo permette. Conosce la Reisefieber, la febbre da viaggio che mi divora da settimane, da quando ho preso la decisione di partire. Non lo sfiora che possa avere dei dubbi. Certamente ignora quali pazzeschi saliscendi ho in mente di fare. Sessantamila metri in su e in giù, più o meno. Sette volte l'Everest.

Ho un bel dire a me stesso che tutto questo ha un senso, che siamo nel 2006, l'anno in cui la Topolino compie settant'anni (il primo modello è contemporaneo alla conquista mussoliniana dell'Etiopia), e che è cosa buona e giusta fare un viaggio italiano con un'auto italiana. Italianissima, anzi, come la littorina, la divisa dei carabinieri o il profumo del ragù. Il meglio del meglio. Un'auto simpatica, priva di arroganza, capace di risvegliare ricordi, curiosità e nostalgie; perfetta per propiziare incontri. Un mezzo lento, ideale per provocare gli italiani divorati dalla fretta, adattissimo a un viaggio di montagna.

Nonostante tutto questo, la sproporzione fra il trabiccolo e l'immensità del paese mi schianta già prima di partire. La guardo, la annuso. Sa di ferriere e praterie. Ha mille anni, non cinquantatré. Apro il cofano: non c'è dentro niente. Pistoni, benzina e basta. Elettronica zero. La portiera si apre controvento. Sotto il sedile del passeggero c'è una grossa spugna che non so a cosa serve. Le marce non sono sincronizzate, la ventilazione è una fessura che si apre a scatto sulle due fiancate del muso, la freccia non si spegne a curva finita. Il cambio è una sbarra diagonale lunga ottanta centimetri; il contrario del freno a mano, che è una leva cortissima e scomodissima all'altezza dei piedi. Una zeppa micidiale, dal gioco minimo. Devo imparare da zero cose come taccopunta, doppia debraiata, partenza da fermo in salita. Se fossi in bici, partirei con meno preoccupazioni.

Come se non bastasse, si chiama Nerina ed è blu. Valla a capire. Dev'essere una vecchia zia stizzosa e intrattabile. "Ma no," ride il Righi quando glielo dico, "l'ha battezzata così un tedesco che l'ha avuta negli anni sessanta e l'aveva dipinta di nero.



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