La ragazza del mare by Loveth Kingsley

La ragazza del mare by Loveth Kingsley

autore:Loveth Kingsley [Kingsley, Loveth]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EDIZIONI PIEMME
pubblicato: 2023-06-21T12:00:00+00:00


17

QUANTO ANCORA DOVRÒ ASPETTARE?

Dopo due settimane, ci trasferirono ancora.

I pick-up ci lasciarono in un’area isolata dove, circondata da un muro di recinzione, c’era una costruzione che sembrava un’officina meccanica. Il posto non era particolarmente ordinato e trasmetteva un senso di abbandono.

Alcune auto erano in buone condizioni, altre erano quasi dei rottami e sembravano dimenticate da mesi, se non da anni. In giro c’erano parti di motori e di carrozzeria, pneumatici e attrezzi dappertutto. A parte noi, non c’era nessuno.

Mi sembrò un posto insolito dove fermarci, ma avevo anche imparato, nel corso delle precedenti settimane, che le idee che avevo sulla realtà erano spesso confuse e che su molte cose mancavo completamente di esperienza.

Si trattò di una sosta di alcune ore e, sebbene continuassi a ignorare la destinazione successiva, almeno potevo vedere il cielo dopo i giorni trascorsi all’interno del capannone sovraffollato e maleodorante.

Mi sembrava un attimo di tregua tra l’angoscia della traversata del deserto e l’incertezza di quello che mi aspettava.

Avevo trascorso giorni imprigionata in una specie di deposito stracolmo di persone, avvolta dall’odore pungente di escrementi e urina che si insinuava in gola e, a volte, sembrava arrivare fino all’anima. Eravamo tutti stanchi, assetati e sporchi e nessuno aveva voglia di parlare. Ma ora, finalmente, il cielo si apriva sopra di me e non mi importava quanto breve fosse la sosta; ogni minuto trascorso all’aperto, dopo due settimane di segregazione, mi sembrava un regalo. La confusione tra i miei pensieri continuava a essere insopportabile, ma almeno non ero rinchiusa. Almeno, in quel momento, potevo godermi il calore del sole sul viso.

Dopo l’attesa, ci caricarono di nuovo su un pick-up e ci lasciarono in una zona che sembrava periferica; poi, a piedi, a gruppi di tre o quattro, ci accompagnarono in una casa che sembrava abitabile. Di notte eravamo divisi tra uomini e donne e si mangiava un po’ meglio, anche se il cibo non era mai sufficiente per tutti e, se non ti affrettavi a prenderlo, restavi digiuno. Erano settimane che non avevo la possibilità di guardarmi allo specchio, ma sentivo di essere dimagrita. I polsi erano più sottili e avevo l’impressione che le scarpe da ginnastica mi sfuggissero dai piedi.

Durante la settimana che trascorsi lì, un ragazzo nigeriano che non conoscevo si avvicinò, mi disse che aveva parlato con la signora per comunicarle che stavo bene, mi confermò che mi aspettava. La cosa mi sorprese e mi fece capire che, senza che me ne fossi accorta, qualcuno controllava che dalla Nigeria arrivassi a destinazione.

Con i pochi soldi che ancora avevo, mi procurai una tuta da ginnastica e riuscii a farmi prestare un telefono per chiamare mio padre; immagino di avergli fatto perdere dieci anni di vita dicendogli dov’ero e che era impossibile tornare indietro.

Mentirei se dicessi che, al contrario delle prime due, ricordo perfettamente la settimana trascorsa in quella seconda casa, o che sono in grado di descrivere le giornate e i pensieri con cui cercavo di tranquillizzarmi per non impazzire e calmare la paura. Non è così:



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