La violenza del mio amore by Dario Levantino

La violenza del mio amore by Dario Levantino

autore:Dario Levantino [Levantino, Dario]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Fazi Editore
pubblicato: 2021-07-20T22:00:00+00:00


Dopo l’aggressione di Killer a Jonathan avevo deciso di non seguire più “Brancaccio dà un calcio”.

Inevitabilmente associavo quel torneo al sangue del mio cane, alla vita che aveva quasi perso; inevitabilmente il tifo e gli applausi dei genitori dei piccoli giocatori avevano il potere di farmi rimbombare in testa il ruggito di quel pitbull e il rantolo di Jonathan che mi chiedeva aiuto.

Per questo motivo chiesi a padre Giovanni che fosse lui a occuparsi del torneo e dell’arbitraggio delle partite, e lui non se lo fece chiedere due volte. Capì al volo le ragioni emotive del mio passo indietro e mi tolse da ogni imbarazzo.

Così, per farmi perdonare, mi occupai delle piante, cercando di alleggerire il quotidiano carico di lavoro di padre Giovanni. Istituimmo questa regola: alle piante da esterno ci avrebbe pensato lui, a quelle da interno io, anche se farei meglio a dire noi.

Era un’attività che ci rilassava, quella del giardinaggio, che ci faceva restare in silenzio, ninnati dai suoni di ogni singola azione.

Ci mettevamo in fondo, vicino all’ingresso, dove c’era un gradone con un quadro del Signore sopra di noi: lì portavamo tutte le piantine da interno, circa una quarantina, e le curavamo con meticolosa premura.

Anna, poiché io dopo l’incidente in campagna non volevo più toccare le forbici, si occupava di tagliare le foglie secche o quelle in procinto di morire; Maria impastava la terra e con le mani modellava il fango; io, invece, mi occupavo di studiare l’umidità di ogni vaso per capire se dovessimo dare dell’acqua o meno, oppure con una pezza umida lucidavo le foglie larghe di monstera e di calatea.

Esiste una riconciliazione che proviamo tutte le volte che ci prendiamo cura degli indifesi, che espia le colpe e ci libera dai vuoti, che ci toglie le scorie delle umiliazioni del vivere. Lo sfrigolio delle mani della bambina nel fango, il fruscio delle foglie tra le dita di Anna, lo zampillio dell’acqua che attraversava la terra finendo nel sottovaso come un esile ruscello: quelle piante ci insegnavano l’equilibrio del silenzio, la corrispondenza eufonica dei suoni, l’invisibile leggerezza dell’armonia.

Maria sbadigliò, le palpebre pallide le si abbassarono, Anna la portò in bagno per lavarle le mani. Quando fu di ritorno, la bambina dormiva già.

Ci mettemmo sotto le coperte sulla nostra brandina, nonostante fosse tardo pomeriggio. Io e Anna ci baciammo. Non ci siamo detti «Ti amo».

Lo abbiamo pensato.

Di notte sentiamo un trambusto nel sonno, ci svegliamo.

C’è scompiglio là fuori: dall’ingresso, dall’abside, dal pulpito provengono rumori che non sono quelli che padre Giovanni solitamente fa. C’è lui, sicuramente, ma c’è anche un’altra persona.

Accendiamo la luce, anche Rosanna e Pia si svegliano, ma prima ancora di arrivare alla porta è padre Giovanni ad aprirla da fuori. Ci dice di restare dentro, che è tutto a posto anche se c’è rumore, ma non è tutto a posto e lui è sconvolto in viso. Restiamo dentro, facciamo come lui ci dice, origliamo: sentiamo bisbigli.

Di mattina vado io a scuola, Anna rimane in chiesa con Maria, sembra tutto a posto.

Al rientro trovo Anna con la bambina in braccio che parla con qualcuno nella sagrestia.



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