La zia marchesa by Simonetta Agnello Hornby

La zia marchesa by Simonetta Agnello Hornby

autore:Simonetta Agnello Hornby
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
pubblicato: 2015-02-08T23:00:00+00:00


41.

"Noi stessi 'nni fabricamu li nostri miseri."

La dote contestata di donna Teresa Safamita.

Un figlio piange la morte della madre

Maria Teccapiglia aveva preparato una camomilla; Gaspare se la sorbiva, ancora agitato. "Quello che vi parlò doveva essere il figlio della baronessina Teresa, la terza nata del barone Stefano," stava dicendo Maria ai camerieri che erano in cerchio attorno a lei e a Gaspare. "Aveva il labbro leporino e bella non era, Teresa. La maritarono a un burgisi, Mariano Lo Vallo, che si faceva chiamare barone. Mi ricordo che il barone Guglielmo non ne era contento, ma sua madre lo volle assai quel matrimonio, parenti ci venivano a lei.

"S'appattarono per la dote: tanto quanto quella delle altre figlie. Dopo il matrimonio i Lo Vallo mandarono a dire che le mule ci avevano portato meno moneta di quanto si aspettavano: mancavano ducati. Cunta e ricunta, la moneta era giusta. Il barone Stefano era seccato assai, ma nessuno lo seppe in giro. lo lo sapevo perché me lo cuntò mio suocero, don Vito Tignuso.

"Lui e le guardie avevano accompagnato le mule dal castello fino alla casa di quelli, che manco un vero palazzo era. Il barone Stefano buonanima se lo fece chiamare e gli chiese: 'Ditemi, Viro, chi ci poté avvicinare alle mule carriche d'oro?'. Quello rispose: 'Nessuno, sull'anima di mia madre lo giuro a Voscenza, io lo addormentai sui sacchi, e mala nottata passai: gli altri a turno facevano guardia e di briganti non c'era l'ombra'.

"Quando il barone Stefano morì, altra eredità s'aspettava, quello. Mentre il suocero era ancora caldo caldo nel tabutu, il marito di Teresa ci disse al barone Guglielmo, davanti al conte Trasi e al barone Scravaglio: 'Ora dovete darmi il resto della moneta, io l'ho presa brutta perché mi avevate promesso più dote delle altre'. 'Io niente ne so. Cuntammu e ricuntammu la dote, ai tempi, e niente dicesti. Una cosa sola ti dico: mia sorella è una Safamita e ti ha arricchito prendendoti per marito. Questo t'avi a bastari.' Così disse il barone. Allora quello si rivolse ai cognati: dovevano darci una parte della dote delle loro mogli perché belle e sane erano. Ci fu un pandemonio e le voci arrivarono fino alle scuderie, tanto urlavano tutti assieme.

"Poi il barone parlò alla sorella: 'Teresa, dici la verità: più dote ti promise nostro padre buonanima?'. Quella rispose: 'Mio marito ha ragione'. E lui: 'Figli non ne hai, sennò ti chiederei di giurare su quelli. Giuralo sull'anima di tuo padre'. Teresa rifiutò e ripeteva che le spettava più dote. Allora il barone si arrabbiò: 'Mala persona ti maritasti. Torna a casa tua, dove sarai patruna e rispittata, e fai compagnia ad Assunta'. 'Io a mio marito non lo lascio,' gli disse quella. 'Se è così, vatinni e dimentica che hai due fratelli e quattro sorelle,' ci disse il barone. Da allora non si sono trattati. Passano funerali, matrimoni e battesimi, come se non si canuscissiru. Perché ora? Io dico che si sono mangiati la dote della madre e sono sfasulati. Sperano in un'altra dote Safamita e ora appizzarunu l'occhi su Costanza.



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