L'apocalisse di Lucrezio by Ivano Dionigi

L'apocalisse di Lucrezio by Ivano Dionigi

autore:Ivano Dionigi [Dionigi, Ivano]
La lingua: eng
Format: epub
ISBN: 9788832856255
editore: Raffaello Cortina Editore
pubblicato: 2023-11-06T23:00:00+00:00


L’altro Lucrezio

La seconda domanda chiama in causa la sorprendente sentenza che chiude il quarto libro (v. 1283): “La consuetudine concilia l’amore” (consuetudo concinnat amorem). Abbiamo visto Lucrezio condannare con asprezza e sarcasmo l’amore in tutte le sue declinazioni e identità negative: affanno (v. 1060), sofferenze (vv. 1068-1072), furore (vv. 1079-1083 e 1117), spersonalizzazione (vv. 1121-1122), amarezza (v. 1134), rimorso (v. 1135), gelosia (vv. 1139-1140), cecità (v. 1153), miseria (v. 1159), umiliazione (vv. 1177-1179); il tutto insuperabilmente ricapitolato dalla “speranza – povera! – che vola via col vento” (v. 1096: vento spes raptast … misella). Ebbene, dopo questo teorema che non lascia scampo alcuno all’amore e, tantomeno, a un amore pacificato, Lucrezio sembra ipotizzare l’intimità serena e una sorta di melanconica tenerezza della vita a due (vv. 1278-1287):

Non per volere divino o per le frecce di Venere

accade talora che si ami una donnetta non bella.

La stessa femmina a volte con il suo fare,

con i suoi modi gentili e con la cura elegante del corpo

riesce ad abituarti [insuescat] facilmente a passare la vita insieme a lei:

del resto, la consuetudine concilia l’amore:

ciò che è percosso da colpi continui, sia pur lievi,

a lungo andare è vinto e cede.

Non vedi che anche le gocce d’acqua, che cadono di continuo sulle rocce,

in lungo tratto di tempo le bucano?

Il combattivo Lucrezio sembra arrendersi a un rassegnato amore coniugale; un amore ridotto a una convivenza tra due buoni, cari, vecchi amici; un amore abitudinario: il verbo incoativo insuescere esprime l’assuefazione, il lento e progressivo adattamento.

Inatteso questo modo lucreziano di uscire dai triboli mortali dell’amore, che sorprende e contraddice anche quel sentire comune secondo il quale lo stato coniugale sarebbe l’affossamento dell’amore. Che avesse ragione Nietzsche, per il quale “non è la mancanza di amore, ma la mancanza di amicizia che rende i matrimoni infelici”? Dobbiamo sospettare che l’eterodosso Lucrezio si converta all’amore di coppia tradizionale?

Questo passo resta indubbiamente una crux all’interno del poema, visto che Lucrezio altrove (5, 962-963) critica l’amore uxorio e familiare (mulier coniuncta viro), che ha indebolito il vigore sessuale (Venus imminuit viris) originariamente praticato nelle selve (Venus in silvis iungebat corpora amantum).

È anche questa una delle ragioni che ha indotto diversi critici a prestare fede a un Lucrezio contraddittorio, quando non addirittura compromesso nella propria affettività, sulla scorta del racconto di san Girolamo, che ci tramanda un Lucrezio impazzito per amore e suicida.10 Un Lucrezio che ha catturato l’attenzione anche di grandi interpreti del poema.

Scrive Marcel Schwob, scrittore simbolista di fine Ottocento:

[Lucrezio] sapeva che il pianto proviene da un moto particolare delle piccole ghiandole che […] sono agitate da una processione d’atomi […]. Sapeva che l’amore non è altro che il gonfiarsi di atomi che vogliono unirsi ad altri atomi. Sapeva che la tristezza causata dalla morte non è che la peggiore delle illusioni terrestri […]. Ma, conoscendo esattamente la tristezza e l’amore e la morte […], egli continuò a piangere ed a desiderare l’amore ed a temere la morte.11

Gli farà eco Alberto Moravia:

[Ma] dove soprattutto restava lontano da quella scientifica serenità a cui aspirava, era parlando dell’amore.



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