L'autobiografia di Giuliano di Sansevero (libro primo) by Andrea Giovene

L'autobiografia di Giuliano di Sansevero (libro primo) by Andrea Giovene

autore:Andrea Giovene [Giovene, Andrea]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2013-10-01T21:45:57+00:00


Quella estate, poiché già le privazioni per la guerra si facevano sentire in città, Gian Luigi trasferì la famiglia, anzi tempo nella stagione, a Sorrento. Ma io, con il motivo degli esami (e potevo dire ciò che volessi poiché nessuno sapeva niente dei miei studi) strappai quasi un altro mese di solitudine e di libertà, perfette e deliziose nella bella casa di Napoli, quando essa non era abitata dagli altri familiari. E questa volta le esplorazioni progredirono dalla parte del giardino.

Era già caldo; le finestre della casa signorile, dentro gli archi e dietro le cancellate, erano aperte, adesso. Da Giustino appresi che i due signori che venivano ad abbeverarsi di fresco nell'ombre dei nostri eucalipti, erano i baroni Orellis, capuani. Il barone, alto magistrato nel ramo penale, appariva molto più vecchio di quanto non fosse: emergeva quasi improvvisamente dall'oscurità delle sue stanze, e, ridacchiando, domandava a me perché mi trovassi «dietro quei cancelli». Era la sua unica battuta; e dopo di questa non pronunciava che frasi quanto mai generiche e vuote. La baronessa, donnetta risecchita e dall'aspetto schifiltoso, pareva muta affatto. Ella vestiva con una moda vecchia di almeno quindici anni, con alte collarine di merletto nero o bianco e maniche a sbuffo, strettissime poi intorno ai polsi. Dopo pochi istanti gli Orellis sparivano, e non si vedeva tralucere là dentro che un vago di mobili lustri e neri, e forme incerte di cineserie dentro vetrine dai fondi bui. Per tutti quegli anni, ed anche dopo, quando la nostra casa fu piena di mondo, gli Orellis non strinsero relazione con i miei, né questi mostrarono di accorgersi della loro esistenza. Io ero il solo che li avvicinassi; ma né in casa mia lo sapevano; né tanto meno il barone e la baronessa conoscevano fino a qual punto avessi spinta la mia familiarità con le cose loro.

In quel maggio, quando i miei partirono e gli Orellis doverono supporre che la nostra casa fosse disabitata, vidi una volta spiare dalle inferriate un volto nuovo e giovanile. Quella figura mi fece subito un gesto di intesa, come se già mi conoscesse, e al tempo istesso mi accennò di avvicinarmi senza rumore.

«Sono Tilde» mi sussurrò. «Tu sei Giuliano, lo so. Ma bisogna stare attenti!»

Riassaporai immediatamente, perfetto, quel rapporto di complicità appreso sotto il regime del prefetto Cirillo al Giglio, al tempo delle segnalazioni con Ettorino e delle mezze parole con Oderisio. Difatti Tilde, unica figliuola degli Orellis, nata da loro assai tardi, era uscita in quei giorni dalle Dorotee. Aveva appiccicato addosso l'odore del convitto; ed io dovei riconoscerlo.

Era una ragazza un poco maggiore di me, avendo già compiuto i quattordici anni, di un pallore alquanto malsano e di forme poco svelte. La sua voce era però melodiosa e matura; il garbo delle sue maniere grandissimo; le parole vivaci, e tutto il suo atteggiamento, già vario e sicuro, da donna. Sola in quella casa funerea, come io lo ero tra le magnificenze della mia, fece presto a stringere il suo rapporto con me, come un carcerato che, attraverso un foro nella parete, riesca a stabilire il contatto con un altro.



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