Le italie parallele. Perche l'Italia non riesce a diventare un paese moderno by Sergio Romano

Le italie parallele. Perche l'Italia non riesce a diventare un paese moderno by Sergio Romano

autore:Sergio Romano
La lingua: ita
Format: azw3, epub
pubblicato: 2016-01-03T23:00:00+00:00


La politica estera del fascismo al potere

Lo stesso, a maggior ragione, può dirsi dei settori più influenti della burocrazia. La diplomazia conosceva la fragilità internazionale dell'Italia e avrebbe accettato senza esitare la politica dignitosa e moderata che Giolitti e Sforza adottarono fra il 1920 e il 1921. Ma fu complessivamente delusa e frustrata dal modo in cui i governi difesero gli interessi nazionali a Versailles e negli incontri internazionali in cui si definivano, dopo la fine della guerra, gli equilibri fra le potenze vincitrici. Quando Mussolini formò il suo primo governo e tenne per sé gli Esteri, il segretario generale del ministero era un siciliano intelligente, imperturbabile e professorale che aveva fatto i suoi primi passi in carriera all'epoca di Crispi e imparato il mestiere alla scuola di Antonino di San Giuliano. Salvatore Contarini rimase al ministero per altri quattro anni durante i quali spiegò pazientemente al suo ministro i limiti della potenza italiana e gli ricordò che «una lunga trattativa vale sempre di più di una cruenta e mai risolutrice battaglia campale». Si accalorava, paradossalmente, soltanto quando parlava di Russia.

Era convinto che gli alleati avessero sottoposto la Russia dei Soviet, dopo la rivoluzione bolscevica, a un trattamento ingiusto e spiegò a Mussolini che non era conveniente infierire contro una grande potenza europea nel momento in cui essa dava segni di debolezza.

Gli disse anche che l'Italia non aveva le spalle abbastanza larghe per litigare con la Gran Bretagna nel Mediterraneo.

Glielo spiegò in particolare quando una banda, composta probabilmente da greci dell'Epiro, uccise nell'agosto del 1923 il generale Enrico Tellini, comandante di una missione militare italiana a cui la Società delle Nazioni aveva dato l'incarico di delimitare il confine greco-albanese. Senza dare retta al suo segretario generale Mussolini volle mandare un ultimatum alla Grecia in cui chiese immediatamente soddisfazioni materiali e morali; e quando le sue condizioni non vennero interamente accolte, dette ordine alla flotta di bombardare Corfù e sbarcare nell'isola. L'iniziativa non piacque né alla Società delle Nazioni né soprattutto alla Gran Bretagna. Mussolini tentò di resistere: «Se la Grecia per qualche ragione non paga», disse il 9 settembre all'inviato speciale del Daily Mail, «rimarrò indefinitamente in possesso di Corfù, che è stata per quattro secoli ininterrottamente territorio veneziano».

Toccò allora a Contarini toglierlo dal vicolo cieco in cui si era cacciato. In qualche giorno, lavorando pazientemente dietro le quinte, il segretario generale riuscì a creare le condizioni perché il governo greco pagasse almeno la somma richiesta e la flotta italiana lasciasse Corfù. A dispetto dei toni trionfali della stampa fascista e del giudizio molto positivo di qualche simpatizzante straniero (fra cui Richard Washburn Child, già ambasciatore americano a Roma e grande estimatore di Mussolini), l'«incidente di Corfù» non fu una vittoria della politica estera italiana. In un libro apparso a Parigi nel 1932 (Mussolini diplomate), Gaetano Salvemini poté scrivere ironicamente che «nel giorno fissato la flotta italiana lasciò l'isola con perfetta puntualità portando con sé un considerevole stock di francobolli su cui era stato stampigliato "Corfù, occupazione italiana", e che nessuno aveva avuto il tempo di usare».



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