Le ore nude by Lygia Fagundes Telles

Le ore nude by Lygia Fagundes Telles

autore:Lygia Fagundes Telles [Telles, Lygia Fagundes]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Narrativa
ISBN: 9788877381217
editore: La Tartaruga
pubblicato: 1993-05-31T22:00:00+00:00


La bambina di un tempo mi vede ma non fa il minimo movimento, guarda soltanto. Il raggio di sole avanza sul tappeto e raggiunge i suoi stivali bianchi. Sul sofà il cuscino è tuttora liscio quasi avesse accolto un petalo. Abbassa lo sguardo inespressivo sul piccolo telaio con il ricamo, chi aspetta? Un fantasma né felice né infelice. Calmo. Il vecchio dalla lobbia, la donna dallo scialle, Gregorio con la sua pipa - tutti nelle loro apparizioni hanno dimostrato che l’anima o il corpo sottile, comunque si chiami, si disfa ancora prima che si disfi il corpo materiale. Ambedue destinati alla distruzione ma in tempi diversi.

La morte di questa bambina deve essere avvenuta all’inizio del secolo. E riappare come se fosse morta ieri. L’amato Gregorio ha resistito così poco mentre l’ingenua bambina con il suo ricamo… Se sapessi cosa impedisce la sua morte totale, la morte tanto vista negli altri e in me stesso, se lo sapessi. Ma non sarà questa volta che avrò la risposta.

Sento Dionisia tossire nella sua camera, si è già svegliata. Si è fatto giorno. Ha acceso la radio con il notiziario a tutto volume che di certo ora sta ascoltando con la sua faccia da angelo vendicatore. Il sole è più alto. La bambina è scomparsa.

Quando mi metto al sole per scaldarmi ho la visione sbiadita di un sole di altri tempi che avanza su una modesta tavola apparecchiata, è mattina. C’è del pane intinto nel vino. Olive. Qualcuno è morto, qualcuno che io amo siccome la voce che mi conforta è emozionata, la voce di un uomo che mi raccomanda di non lasciarmi abbattere a tal punto dalle avversità, ma di guardare avanti con fermezza. Fiducia. Desiderando - più che desiderando, esigendo - che mi sia restituito il brillìo della mia stella.

Abbasso la testa. Abbasso la coda e vado in camera di Rosa Ambrosio. Lei dorme il suo sonno insensato. Mi arrampico sulla poltrona dove c’è la veste tunisina indossata la sera prima. È di lana rossa e calda come se se la fosse appena tolta. Mi avvicino di più alla mia padrona, malgrado il deterioramento è sempre bella, ha sedotto il tempo. Così come ha sedotto le persone.

Rosa Rosae, diceva Diogo. Gregorio diceva Rosa. A voce bassa e con la pazienza che mi commuoveva, ci sapeva fare con lei nelle crisi di collera. Nelle crisi mistiche che non duravano a lungo ma che erano intense, si vestiva di bianco. La faccia non truccata, nessun gioiello, i capelli a banda che le cingevano il viso di serena austerità. Digiunava, pregava. Parlava poco, la voce impostata. Con lo stesso fervore isterico con la quale ricorreva ai sacerdoti visitava cartomanti e stregoni per farsi leggere le conchiglie. Candele accese. Incenso. Lui la incoraggiava, mantenendosi a una certa distanza, Diogo al contrario si intrometteva, eccitato, entrambi senza nascondere un sentimento di sollievo: mentre lei si prostrava, i due potevano prendersi una vacanza.

“Mea culpa”. Con il suo metodo di azione diretta e rapida, solo Diogo riusciva a neutralizzare quella cattiva coscienza.



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