le rose del ventennio by gian carlo fusco

le rose del ventennio by gian carlo fusco

autore:gian carlo fusco [fusco, gian carlo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: archivio ladri di biblioteche
pubblicato: 2012-08-30T12:13:57+00:00


Marmi, dove la sua famiglia era sfollata da molti mesi. Quando nel gennaio del

'48, essendo ormai collocato in pensione, il colonnello apprese che Aimone di

Savoia era morto a Buenos Aires, ripensò a lungo per la prima volta, alla storia di

via Mercati e della Croazia. Gli sembrò che fossero cose d'un secolo fa. Quasi per

riacquistare il senso del tempo, si chiuse nel suo studio e tirò fuori da un cassetto

un pacco di giornali, e di carte e di piccole agende. Era tutto ciò che restava del

regno di Tomislavo II. Quanto all'orologio col calendario in mezzo al quadrante,

quello era un ricordo del duca d'Aosta.

La guerra con gioia Una ventina di giorni dopo la ritirata da Corda,

diversi gerarchi arrivarono sul fronte albanese. Erano preceduti da fogli

ministeriali, a carattere riservato, nei quali si stabiliva la loro assegnazione ai

reparti e si raccomandava di considerarli strettamente secondo il grado,

dimenticando la loro posizione da civili. Era severamente proibito chiamarli col

titolo di eccellenza o di onorevole. I comandanti di corpo e i capi di stato

maggiore non accolsero l'annuncio con soverchio entusiasmo. Quello del corpo

alpino, generale Nasci, ch'era un tipo sbrigativo e quadrato, lesse un paio di volte

la lettera ministeriale e poi la passò al colonnello Martinat, suo capo di stato

maggiore, commentandola così: «Se a Roma ne possono fare a meno, perché non

li hanno mandati prima, e se non servono, perché li mandano qua, che c'è da

fare?». Al settore alpino erano stati assegnati Starace, Grandi, Biggini e Urbinati.

Starace arrivò per primo. Raggiunse Gramsci, in val Tomorezza, sede del corpo,

con un camioncino balilla mimetico, sul quale aveva fatto sistemare due bauli

d'indumenti personali, una cassetta di frutta sciroppata e qualche altra provvista.

Pioveva da una settimana, senza interruzione. Il fango era appiccicoso come colla

da manifesti e i muli delle salmerie faticavano ad alzare le zampe. Il fiume

Tomorezza correva come un direttissimo, trascinando nell'acqua gialla interi

cespugli, tronchi d'albero e carcasse di mulo. Starace scese dal camioncino con

grande agilità, si guardò attorno, sorrise, interrogò un alpino che passava col

mulo, diede una manata sulla spalla d'un caporale, fece circolare un pacchetto di

trestelle tipo esportazione, col cammello e la moschea stampati su. Lì vicino, sotto

una tettoia sgocciolante, v'era l'85a sezione di sussistenza. Un sottufficiale

enorme, certo Fanelli, soprannominato "porca gobba", stava in quel momento

tagliando della carne congelata a torso nudo. Starace si avvicinò, ordinò che tutto

continuasse come prima e restò qualche minuto a guardare. Poi si levò la giacca,

si fece passare la mannaia e cominciò a menar colpi. Quando ebbe staccata una

grossa bistecca, la raccolse dal ceppo, la soppesò e commentò favorevolmente la

qualità della carne. «Sembra fresca» disse compiaciuto. Il sergente Fanelli spiegò

che in realtà la carne, che arrivava dall'Italia fascista in tele di sacco, lasciava, da

qualche tempo, molto a desiderare. Prima di distribuirla, bisognava farle "toeletta"

strappando via, per esempio, la pellicola interna, quasi sempre macchiata di tracce

tubercolari. Starace ascoltò attentamente quella «breve relazione» e alla fine prese

appunti. «Riferirò» disse. Aveva sempre in mano la grossa bistecca. «Ci farà

l'onore di mangiarla, eccellenza» disse il Fanelli. «Niente eccellenza» ammonì il

gerarca. «Qui sono il tenente colonnello Starace, e basta.



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