L'illettore. by Hermann Burger

L'illettore. by Hermann Burger

autore:Hermann Burger
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2017-12-21T16:00:00+00:00


V

Questo è il documento Schauerhammer, «martello del brivido», una stampa privata, pezzo unico destinato alla biblioteca del castello. Mi coglie come un fulmine a ciel sereno, all’improvviso si è installato dentro di me l’orrore-della-madre-assassina, sto in piedi sbigottito, bucherellato, eh, sì, non c’è dubbio, ti ha beccato, mi ritiro subito da ogni attività della vita, m’infilo a letto nella mia arca doppia, strappo il cavo del telefono come se così potessi scongiurare il fatto che invece ormai mi ha già raggiunto a sorpresa e teso un agguato con le dita inanellate in spirali di fumo e mi tira giù attraverso il materasso di crini di cavallo, attraverso le sue molle, attraverso il parquet di tiglio non vetrificato della cisterna di Schruns, attraverso il bosco di Grächen, attraverso la gola del vestibolo dipinto di viola, la cosiddetta «Viamala interiore» della mia casa paterna a Menzenmang, questo vuoto museo luttuoso della mia infanzia, e io mi lascio cadere giù per la cantina del carbone, quella del vino e quella della verdura, attraverso il sotterraneo della lavanderia, fin nelle fondamenta della maestosa villa dell’industriale, e lì, si crede, nelle radici dei denti, non si vada oltre, e invece qualcosa mi spinge dentro il metrò delle fogne di Vienna su fino al cimitero, attraverso il labirinto delle tombe, nel mausoleo di famiglia, attraverso le tavole di marmo dell’impianto d’allarme, in una cappella del preziosissimo sangue, sotto terra, attraverso le mattonelle nella cripta, attraverso la cripta, dalla cripta nel pozzo di prelievo che, come la scala Richter, verso l’alto ha un’apertura illimitata e verso il basso geocentrica;

abissale abbastanza da consentire catastrofi di dimensioni illimitate, così come io da bambino a volte venivo svegliato dall’incubo improvviso che la rete su cui dormivo, circondata da un groviglio di fili metallici laccati di bianco e sistemata come un giaciglio forzato con ganci, trappole, asole, mi sfuggisse da sotto il corpo, allora un brivido tremendo, un orrore Accantatoso dettava un cattivo presagio che compariva sul muro e che non riuscivo a decifrare; fossero farfalle saturnie, magnolie labiate o pantaloni alla zuava, io, giovane mostro, fallivo sempre di fronte a quei geroglifici, ma dietro i meandri della tappezzeria si nascondevano i cani monocoli delle nostre fiabe alpigiane, e le comari ciabattanti che facevano schioccare il buio della camera dei bambini – a volte impenetrabile come l’inchiostro di seppia, a volte lampeggiante come una gabbia di Faraday –, la paura se ne stava rannicchiata nel comodino o accovacciata nell’armadio, strideva dietro lo specchio o sgusciava come un fuoco di sant’Elmo nel parco dove si trovava il mio letto sognato, in una colonia per bambini della natura notturna, lacerare con un grido la tappezzeria del cielo, pensavo sempre, e tu sai che tutto questo è soltanto una chimera; eppure non riuscivo a calarmi di nuovo giù nel mondo dei miei giocattoli, la scatola del meccano, i mattoncini della Anker, il Piccolo alchimista, i babbuini a molla che battono mani e piedi, i soldatini di piombo, mai più nel mio regno marca Märklin,



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